Quando l’attività delle cellule nervose si interrompe, l’individuo è soggetto a convulsioni e, talvolta, a perdita di coscienza. In questo caso si parla di epilessia, che solo in Italia colpisce 25.000 persone all’anno. Se adeguatamente gestito, questo disturbo neurologico permette in tanti casi uno stile di vita del tutto normale. Spesso, però, quando non si manifesta con crisi convulsive, non viene riconosciuta o la diagnosi arriva tardi. Come riconoscerla in tempo? Ne abbiamo parlato con il professor Umberto Aguglia, Professore ordinario di Neurologia presso la Scuola di Medicina dell’Università Magna Grecia di Catanzaro e direttore del centro Regionale Epilessie presso l’Azienda Ospedaliera di Reggio Calabria.
In questo articolo
Epilessia: che cos’è e come si manifesta?
L’epilessia è una malattia neurologica cronica che colpisce la corteccia cerebrale. È caratterizzata dalla ripetizione nel tempo di crisi epilettiche. Un singolo attacco, ad esempio provocato da febbre molto alta, non è sufficiente per diagnosticare la malattia.
Le cause sono riconducibili a:
- Fattori genetici
- Conseguenze di danni al cervello, come traumi cranici, tumori, malattie infettive o infiammatorie, ictus
Ci sono due picchi d’insorgenza, il primo in età neonatale – infantile, il secondo nella terza età. Le crisi epilettiche possono essere convulsive o non convulsive. Quelle più appariscenti e più conosciute sono le prime, caratterizzate da scosse e irrigidimento muscolare, bava alla bocca e perdita di coscienza della durata di pochi secondi a uno o due minuti. Dopo l’attacco, si può rimanere incosciente o dormire per alcuni minuti o anche per ore.
Crisi epilettiche non convulsive: con quali disturbi si manifestano?
L’epilessia può manifestarsi con crisi parziali caratterizzate da disturbi spesso sottovalutati o non riconosciuti. Sono sintomi non appariscenti, ma ripetitivi nel tempo, che creano disagio e intralciano lo svolgimento degli impegni quotidiani. In tutte queste forme il paziente può rimanere perfettamente cosciente.
- L’aura epigastrica: alle volte sono sensazioni fastidiose allo stomaco simili a un pugno, con palpitazione e rossore del volto.
- Altre invece sono legate alla perdita di orientamento o ancora allucinazioni visive, olfattive e sonore.
- Impressioni di “già visto” o “già vissuto” (crisi dismnesiche), stati d’animo di paura improvvisa simili agli attacchi di panico (crisi affettive), accompagnate o meno da forti nausee.
Come si cura?
La diagnosi della malattia è formulata sulla base della descrizione delle crisi epilettiche. In alcuni casi si può approfondire con l’ausilio di esami specifici di laboratorio come l’elettroencefalogramma e la risonanza magnetica. La terapia farmacologica non ha l’obiettivo di guarire, ma di prevenire la comparsa delle crisi ed è efficace nella maggior parte dei casi. Quando questa, però, si rivela inadeguata (in circa il 20-25 per cento dei casi) e soltanto in pazienti ben selezionati, si può ricorrere alla chirurgia, localizzando e asportando il focolaio. Spesso l’epilessia in età infantile, se è legata a fattori genetici e non a lesioni, si risolve naturalmente con la maturazione del cervello. Il cervello è infatti un organo dinamico e subisce continue modifiche nell’arco della vita, il che può rendere difficile prevedere gli sviluppi di una malattia per molti versi ancora sconosciuta.
Come ci si deve comportare quando si assiste a una crisi convulsiva?
La crisi convulsiva è vissuta come un evento traumatico sia in chi la prova, sia in chi assiste a un attacco. La prima regola è di usare il buon senso. Poi mettere in pratica semplici misure di sicurezza per proteggere il paziente. Dopo l’evento è opportuno metterlo su un fianco per evitare l’aspirazione polmonare in caso di vomito. Altro non si deve fare. L’eccesso di zelo, come cercare di aprire la bocca ed introdurre oggetti per timore che la persona soffochi, sono tutte procedure assolutamente da evitare.
Perché è ancora oggi una malattia sottostimata?
Per molto tempo, in tutte le culture, le persone che soffrivano di epilessia sono state oggetto d’isolamento e diffidenza. Oggi l’approccio sociale verso questa malattia è cambiato. Permangono, soprattutto in chi ne è colpito, però, sentimenti di imbarazzo e vergogna che possono portare a una scarsa integrazione e apertura nei confronti del mondo esterno. Diagnosticare questo genere di malattia non è così facile come sembra. Spesso i sintomi cosiddetti “minori” (crisi parziali) non sono riconosciuti o sono confusi con altri disturbi. Sottovalutarli può creare un ritardo di anche 30 anni nella diagnosi dell’epilessia che esordisce in età adulta con crisi non convulsive senza perdita di coscienza. È fondamentale, quindi, sensibilizzare pazienti e classe medica sull’esistenza di sintomi che vanno oltre la più conosciuta crisi convulsiva.
L’epilessia è ancora un ostacolo?
Oggi chi soffre di epilessia può svolgere una vita lavorativa e sociale normale. Ci sono alcune restrizioni che riguardano alcuni mestieri come ad esempio il pilota d’aerei e certi sport come il paracadutismo o le attività subacquee. La patente di guida è sottoposta alla normativa europea.
Cosa non bisogna fare se si ha l’epilessia
Ci sono due “abitudini” sconsigliate a chi soffre di questa malattia: la privazione del sonno, perché aumenta il rischio di crisi, e ubriacarsi, perché l’alcol in eccesso riduce e abbassa la vigilanza oltre a interagire con i farmaci che si assumono quotidianamente.
Epilessia e gravidanza
È bene sottolineare che anche le donne che soffrono di epilessia possono affrontare con serenità la gravidanza, il parto e l’allattamento e concepire figli sani anche se sono sottoposte a terapia farmacologica antiepilettica. Se adeguatamente curati, i pazienti possono svolgere una vita attiva e produttiva normale sotto tutti i profili, da quello lavorativo a quello sociale.
Eliana Canova
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