I primi capelli bianchi, i problemi sul lavoro, le bollette da pagare, i figli da crescere: nel mezzo del cammin di nostra vita ci ritroviamo tutti per una selva oscura, che ormai siamo abituati a chiamare “crisi di mezza età”. Ma questa condizione esiste davvero o è soltanto un buon soggetto per sit-com, o peggio ancora, una trovata pubblicitaria per vendere integratori e pillole della felicità? Il dubbio (lecito) nasce leggendo una nuova ricerca pubblicata su Developmental Psychology dai ricercatori canadesi dell’Università di Alberta. La loro conclusione? Scusate, abbiamo scherzato, la crisi di mezza età non è mai esistita, anzi: la curva della felicità si impenna proprio quando si spalancano le porte della vita adulta.
Se ve lo state chiedendo, la risposta è no: non sono impazziti, tutt’altro. Questi ricercatori hanno semplicemente cambiato punto di vista. Invece che studiare la popolazione in maniera statica, “fotografando” il benessere psicologico delle persone in un preciso momento della loro vita, hanno deciso di studiare l’evoluzione della felicità in divenire, seguendo un campione di 1.500 persone col passare degli anni.
Al centro del loro studio, infatti, sono finiti due gruppi di individui: gli ex studenti delle scuole superiori, seguiti dai 18 ai 43 anni di età, e gli ex studenti universitari, monitorati dai 23 ai 37 anni.
I risultati hanno dimostrato che la famosa curva della felicità non ha una forma ad U, cioè non raggiunge il picco più basso nella cosiddetta mezza età, tra i 20 e i 40 anni. In realtà quello che si verifica è l’esatto contrario: la curva si impenna proprio a partire dai 20 anni, continua a salire a 30 e mostra solo una leggera flessione ai 40. Tenendo conto poi delle variabili più disparate, come il divorzio o la perdita di lavoro, la curva della felicità continua a mostrare un andamento crescente dopo la scuola e l’università. Un’informazione importante, non solo per tirarci un po’ su il morale, ma anche per valutare le eventuali conseguenze sulle condizioni di salute delle persone, sulla loro longevità e, in ultima analisi, sul peso che possono avere per le casse dei sistemi sanitari nazionali.
di Elisa Buson
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