La rivista Scleroderma Voice ha pubblicato un interessante studio della psicologa californiana Sharon Wood (Scleroderma Voice, 2012 #2,3,4) intitolato «Perdere la faccia» sugli effetti delle variazioni del viso dipendenti dalla sclerosi sistemica nel rapporto con sé e gli altri basandosi sulle esperienze personali e interpersonali di dodici donne che hanno preso parte nello studio, nonché dell’autrice stessa.
Per le donne come per gli uomini infatti il viso è sicuramente la parte del corpo con cui maggiormente ci si identifica e si viene identificati. Non solo. La faccia è anche un veicolo di comunicazione: le nostre espressioni facciali, ancor prima che le parole che pronunciamo con la bocca, veicolano al mondo i nostri stati emotivi, affetti, sentimenti e desideri.
Frances Cooke Macgregor, citato dalla Wood, è un pioniere nello studio degli effetti della deturpazione del volto. Macgregor sostiene che il volto «è la persona stessa» ed «è strettamente legata al nucleo del sé ed al senso di identità». Del resto l’etimologia stessa della parola «persona» fa riferimento proprio alle maschere (facce appunto) che venivano utilizzate nel teatro greco. E le maschere venivano utilizzate, oltre che per significare entità altre, per consentire all’attore di farsi sentire (e quindi comunicare) dal pubblico, una sorta di megafoni che amplificavano la voce! La parola «persona» condensa quindi in sé il concetto di identità e di comunicazione, ed è un volto, una faccia!
E’ talmente scontata questa identificazione, questa sovrapposizione, tra la faccia e la persona che in genere neanche ci facciamo caso, se non quando eventi esterni, traumatici e non, provocano una frattura fra il senso della nostra identità e l’immagine fisica, la faccia appunto, che lo specchio ci rimanda: non ci riconosciamo più!
Tale frattura, ancor prima che funzionale, è psicologica e affettiva. Sul piano funzionale infatti modificazioni più o meno profonde possono incidere in maniera significativa su aspetti importanti della quotidianità, come il mangiare per esempio; sul piano psicologico e affettivo invece esse possono provocare una sorta di espropriazione di uno strumento comunicativo fondamentale rappresentato dall’espressività. Esiste poi anche una dimensione psicologica e relazionale degli aspetti funzionali.
Per esempio, la stragrande maggioranza dei problemi funzionali che derivano dai cambiamenti del viso in sclerosi sistemica sono riconducibili all’effetto microstomia o “bocca piccola”. La microstomia ha ripercussioni importanti su funzioni vitali come l’alimentazione, l’igiene orale ecc. Tale limitazione funzionale ha anche un risvolto relazionale: nella nostra cultura infatti il mangiare insieme, la convivialità, ha una forte valenza sociale. La bocca ha poi un ruolo importante in relazione ad aspetti vitali delle relazioni umane come l’affettività e la sessualità. Gli effetti della microstomia possono interferire anche con tali aspetti.
I cambiamenti del viso prodotti dalla sclerosi sistemica incidono su questo complesso sistema di funzionalità, autopercezione e relazione con sé e con il mondo e variano da paziente a paziente. Nella maggior parte dei casi l’aspetto del viso si altera lentamente nel tempo, con un processo che si articola in diverse fasi.
In aggiunta ai problemi fisici e funzionali quindi, è necessario prendere in considerazione gli aspetti sociali e relazionali connessi a tali cambiamenti, ed è appunto su questi che la Wood, e noi con lei, si sofferma. Sebbene infatti i cambiamenti nel viso non possano essere considerati propriamente “sfiguranti”, i sentimenti che nascono in risposta a questi cambiamenti possono essere intensi, dolorosi e complessi.
Le perdite intrapsichiche e interpersonali possono manifestarsi in vari modi. Per esempio, si ha una modificazione negativa dell’immagine e del concetto di sé, una caduta dell’ autostima; può risultarne modificato lo stile di vita, i rapporti affettivi e coniugali, fino a giungere a vari gradi di cambiamento della personalità stessa. Le emozioni che accompagnano questo processo di perdita vanno dallo shock alla negazione, dalla rabbia alla paura, dall’amarezza al dolore, alla depressione e disperazione. L’imbarazzo e la vergogna possono riflettersi in vissuti persecutori come il sentirsi stigmatizzati e evitati. Molte delle donne intervistate dalla Wood hanno ritenuto che la loro qualità di vita era diventata così povera e la loro esperienza di perdita così travolgente da pensare al suicidio. Ecco, perdere la faccia per la sclerosi sistemica può significare tutto questo. E tuttavia…
E tuttavia la sfida rappresentata da questo tipo di cambiamento è proprio quella di riappropriarsi dell’identità oltre la faccia. Abbiamo detto più sopra della profonda identificazione tra faccia e persona. Ebbene i cambiamenti del viso invitano ad andare più a fondo, a ripescare, ritrovare un senso di sé come persona, donna o uomo, della propria storia, di quello che si è costruito insieme con altri e di quello che ancora si può costruire, in termini di senso, nel presente e nell’attuale condizione. Si tratta di rimettere insieme i pezzi di un nuovo puzzle. La dottoressa Wood parla di fase di riorganizzazione e integrazione come della fase in cui è possibile ritrovare un nuovo senso alla propria vita, sperimentare addirittura un incremento nella stima di sé e una riscoperta dei propri valori: si modificano le priorità, gli obiettivi ed i ruoli.
Un’ultima considerazione: il processo di perdita è reso ancora più doloroso dal senso di una profonda solitudine, e non potrebbe essere diversamente, purtroppo! Anche se può sembrare duro ammetterlo, la perdita, di qualunque tipo essa sia, ci interpella sempre individualmente, in prima persona, è un’esperienza squisitamente individuale. Non così la ricostruzione: per ritrovare senso, a qualunque livello, abbiamo bisogno dell’altro, degli altri, non ricostruiamo da soli. La possibilità di condividere e confrontare il proprio vissuto emotivo e affettivo, di dire il proprio senso di solitudine è il primo passo per ritrovare se stessi. Può essere di fondamentale aiuto il supporto affettivo di chi ci sta accanto, il sostegno di professionisti sensibili, la condivisione di gruppo con chi vive un’esperienza simile (mai uguale!) alla nostra.
Anna Esposito
Psicologa