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Ho cambiato vita: via dall’ufficio, ho aperto un nido famiglia

Ho lavorato come impiegata nello stesso posto per buona parte della mia vita. Quasi 29 anni su 47, non so se rendo l’idea. Ho iniziato appena finite le scuole superiori. Niente da dire, buon posto, vicino a casa, mi sono sempre trovata bene. A un certo punto, però, ho salutato il mio ufficio e sono entrata nel mio nuovo luogo di lavoro, decisamente più rumoroso ma infinitamente più felice: casa mia, piena di bambini che giocano, saltano e ridono.

Ho lavorato come impiegata nello stesso posto per buona parte della mia vita. Quasi 29 anni su 47, non so se rendo l’idea. Ho iniziato appena finite le scuole superiori. Niente da dire, buon posto, vicino a casa, mi sono sempre trovata bene. A un certo punto, però, ho salutato il mio ufficio e sono entrata nel mio nuovo luogo di lavoro, decisamente più rumoroso ma infinitamente più felice: casa mia, piena di bambini che giocano, saltano e ridono.

I piccoletti non sono i miei (sono mamma di due ragazze di 20 e 12 anni) ma sono i figli di persone che me li affidano. Ho aperto un nido famiglia: ogni giorno accolgo cinque bambini nella mia casa, li coccolo, li intrattengo con attività educative e ludiche. I genitori sono contenti, perché i costi sono contenuti e l’ambiente è più intimo rispetto a quello di una classico asilo, pubblico o privato che sia.

Gruppo San Donato

Quello del nido è sempre stato un mio sogno nel cassetto ma, pensavo, non si può fare sempre quello che si vuole. Finché, sette anni fa, ho avuto una malattia che mi ha portato a vedere le cose in modo diverso. La diagnosi di tumore è arrivata nel giorno del mio quarantesimo compleanno. In un attimo ho rivisto tutta la mia vita, e mi sono detta: «Devo fare qualcosa». E l’ho fatto. Mi sono curata, con determinazione. Ho combattuto e sono stati anni duri, ma in qualche modo mi hanno dato forza.

Mi sono rimessa in gioco, con molta paura e molta emozione, non sapevo verso cosa stavo andando. E se avessi buttato alle ortiche un posto sicuro? E se avessi fallito? No, dovevo riprendere in mano il mio destino. Il sostegno più grande me l’hanno dato mio marito e le mie ragazze, e ancora mi commuove l’entusiasmo con cui hanno accolto un cambiamento così importante. Infine, l’incontro con un’amica che aveva già aperto un nido famiglia ha sgombrato gli ultimi dubbi: «Fallo, ti riempirà la vita».

Da dove cominciare? Avevo da tempo raccolto informazioni. Così, con la documentazione necessaria, ho fatto richiesta al mio Comune nel Varesotto: Arsago Seprio. Agli uffici locali spetta concedere l’autorizzazione e inviare la comunicazione all’Asl, che provvede poi a controllare l’idoneità dell’abitazione e della persona, con l’aiuto di un tecnico della sicurezza e un’assistente sociale. Non è necessario abitare in una reggia, basta avere uno spazio in casa da dedicare ai piccoli ospiti, attrezzandolo con giochi, fasciatoi e lettini. Tutto, spigoli, prese elettriche, scale, va naturalmente messo in sicurezza, proprio come si fa con i propri figli. Non è indispensabile avere diplomi specifici, ma c’è un requisito fondamentale: tanta pazienza e tanto amore per i bambini!

Con un po’ di volantinaggio e soprattutto con il passaparola, mi sono fatta conoscere e, un po’ alla volta, i bambini sono arrivati. Ho iniziato da pochi mesi, che però mi hanno insegnato più dei 30 anni passati. Mi rendo conto che questa esperienza sta cambiando il mio modo di vedere la vita e mi sta regalando molto.

C’è la soddisfazione di offrire un servizio utile a tante mamme che, purtroppo, sono penalizzate dal fatto che i nidi scarseggiano, che spesso nelle strutture pubbliche le liste d’attesa sono infinite e che gli asili privati per alcuni hanno costi proibitivi. La formula del nido famiglia, più che affermata in tanti Paesi, in Italia è ancora semi-sconosciuta, specie nei piccoli centri come quello in cui vivo. Invece può essere un’ottima opportunità in più per tanti genitori, ma anche un modello di iniziativa imprenditoriale che calza a pennello per donne con figli già grandi, come me, oppure con bambini piccoli e in difficoltà in un mondo del lavoro spesso poco solidale con la maternità.

C’è soprattutto la gioia dei «miei» bimbi che arrivano la mattina e mi riempiono la giornata. Giochiamo insieme, facciamo collage, dipingiamo con le impronte, condividiamo le regole della convivenza. Mi invento sempre qualcosa di nuovo. Non finirò mai di stupirmi per l’energia positiva che sanno trasmettere i bambini e per il miracolo che sanno compiere: far sparire i brutti pensieri.

Gabriella Lavarda, 47 anni, Arsago Seprio (Varese)
(testimonianza raccolta da Donatella Barus)

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