All’inizio dell’anno a Roma un bimbo è stato abbandonato in ospedale dopo il parto. La donna, che aveva in precedenza scoperto che il figlio sarebbe stato affetto da acondroplasia, una malattia rara che causa quello che più comunemente viene chiamato nanismo, aveva scelto di avvalersi della legge che permette il parto in anonimato e dunque l’abbandono in ospedale.
Il piccolo, dopo qualche problema iniziale, sta bene: con molta probabilità crescerà, avrà qualche problema legato alla malattia e non andrà probabilmente oltre il metro e trenta di altezza, ma avrà un intelligenza normale, potrà giocare, studiare, viaggiare e fare più o meno quello che fanno gli altri. Probabilmente presto troverà una famiglia pronta ad adottarlo e a vivere vicino a lui le varie tappe della vita. La domanda che in molti si sono posti, soprattutto le associazioni di genitori che hanno bimbi affetti da questa malattia, è se questa donna abbia avuto tutte le informazioni e tutto il supporto necessario prima di prendere questa decisione, certamente drammatica.
«Questa notizia ha sconvolto tutti noi – ha detto ad esempio Nadia Pivato presidente dell’associazione Acondroplasia Insieme per Crescere – siamo ritornate indietro nel tempo, quando anche a noi hanno dato la notizia inaspettata. Vorremmo tendere una mano al questa mamma ed essere testimonianza diretta come genitori che hanno avuto la stessa storia iniziale, la stessa disinformazione. Solo con il supporto di associazioni, la conoscenza, l’aiuto di psicologhe esperte e l’amore dei nostri cari, abbiamo potuto affrontare il momento tanto delicato dello “shock da birth defect ed accettare e affrontare questo tipo di condizione».
Nel frattempo, anche se probabilmente questo bimbo non potrà mai beneficiarne, la scienza sta cercando delle terapie che possano aiutare questi bimbi: proprio negli stessi giorni in cui è stata resa nota la vicenda, infatti, una casa farmaceutica americana, la BioMarin, ha reso noto che nei prossimi mesi avvierà una sperimentazione di Fase 1 di un farmaco specifico per questa malattia. La fase 1 è quella in cui ci si accerta che la molecola non abbia effetti dannosi per la persona, che sia cioè tollerabile. Prima che questa molecola diventi disponibile dovrà superare molte prove, chiamate fase 2 e fase 3, dimostrare di poter dare effettivamente un beneficio ai pazienti, e serviranno anni e molto impegno: la cautela è d’obbligo tanto quanto la speranza, che però non deve mai esser persa.