La Gran Bretagna potrebbe presto invitare qualcosa come 50mila donne a sottoporsi a un intervento chirurgico per rimuovere le protesi al seno firmate «Pip». Lo stesso potrebbe fare la Francia, dove fino al 2010 ha operato l’azienda responsabile di aver messo in commercio, in patria e all’estero, protesi realizzate con materiali non testati clinicamente fra i quali un additivo utilizzato nell’industria petrolchimica -, e per questo più esposte a rischi di rottura, di infiammazione dei tessuti e di sviluppo di tumori maligni.
Adesso anche l’Italia ha deciso di prendere provvedimenti contro le protesi mammarie difettose. E così il Servizio sanitario nazionale si farà carico dei costi necessari per rimuoverle, nel caso in cui l’intervento si dimostri necessario da un punto di vista clinico. Ma non è tutto, perché il ministero della Salute ha deciso di vederci chiaro, anche sotto il profilo dei numeri. Con un’ordinanza di necessità e urgenza, il ministro Renato Balduzzi ha avviato un censimento che mira a individuare tutti i casi italiani di interventi al seno che hanno richiesto l’impianto di protesi Pip.
Il provvedimento, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dello scorso 31 dicembre, impone a tutti gli ospedali e gli ambulatori italiani – sia pubblici sia privati, accreditati o autorizzati- di redigere un elenco nominativo degli interventi realizzati a partire dal primo gennaio 2001. La lista – che resterà segreta in modo da tutelare la privacy delle donne coinvolte – conterrà la data di ogni intervento, indicata dalle strutture ospedaliere di riferimento alle Asl comp etenti. I dati saranno quindi trasmessi alle Regioni, che avranno altri dieci giorni di tempo per inviare la lista al ministero.
L’ordinanza impone anche che le strutture che non hanno effettuato operazioni attestino una dichiarazione specifica. In questo modo sarà possibile individuare il numero esatto di protesi Pip impiantate in Italia. E, di conseguenza, i casi più a rischio, quelli cioè che potrebbero richiedere un immediato intervento di rimozione. L’allarme è scattato anche alla luce delle ultime indiscrezioni, in base alle quali l’azienda di Seyne-sur-Mer, vicino a Marsiglia, avrebbe messo in commercio fino al 2010 protesi mammarie realizzate con un gel al silicone frutto del miscuglio di prodotti chimici industriali mai testati clinicamente per l’uso in sala operatoria.
Fra i componenti ci sarebbero addirittura un additivo per carburanti e due prodotti normalmente utilizzati nell’industria del caucciù. Ne risulterebbe un mix dieci volte meno caro rispetto ai materiali considerati a norma. Queste caratteristiche rendono le protesi Pip molto più fragili ed estremamente pericolose. Secondo i primi datiufficiali- in attesa delle conferme che potrebbero arrivare dopo i test condotti sulle protesi rimosse -, il materiale prodotto dalla Pip è esposto sette volte in più rispetto alla media a rischi di rottura. Inoltre, espone le donne a maggiori rischi di infiammazione dei tessuti e di sviluppo di tumori al seno.