Il pesce fa bene oppure a causa dell’inquinamento fa male alla salute? Sul Corriere della Sera, Catherine Leclercq (chiedile un consulto) ricercatrice Inran, Istituto nazionale di ricerca per gli alimenti e la nutrizione risponde così a un lettore: «Meglio comunque mangiare pesce»
Proprio nel 2010 la Fao (la sezione delle Nazioni Unite che si occupa di alimentazione e agricoltura) e l’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità, hanno chiesto ad un gruppo di esperti di confrontare i rischi e i benefici del consumo di pesce considerando da una parte l’apporto nutrizionale e dall’altra la presenza di contaminanti (in particolare metilmercurio e diossine).
Il pesce, oltre ad essere una fonte proteica, contiene alcuni acidi grassi molto importanti. Il nostro organismo ha una scarsa capacità ad allungare la catena degli acidi grassi omega 3 a catena corta, che troviamo in alimenti di origine vegetale, per formare l’EPA e il DHA, acidi grassi a catena lunga, che si trovano invece già preformati proprio nel pesce. Poiché questi ultimi sono necessari per uno sviluppo neurologico ottimale, il consumo di pesce è importante in particolare nelle donne in gravidanza, in quelle in allattamento e nella prima infanzia. Inoltre questi grassi proteggono dalle malattie cardiovascolari e per questo nelle Linee guida per una sana alimentazione italiana dell’Inran (Istituto nazionale per la ricerca sugli alimenti e la nutrizione) si consiglia a tutta la popolazione di consumare pesce 2-3 volte alla settimana.
Il rischio legato ai contaminanti diventa significativo nel caso dei grandi pesci predatori che li accumulano perché vivono più a lungo e si nutrono di altro pesce. Si consiglia quindi alle donne in gravidanza e in allattamento e ai bambini piccoli di non consumare più di una piccola porzione settimanale (non superiore a 100 gr) di grandi pesci predatori (quali il pesce spada) e, se la si consuma, di non mangiare altro pesce nello stesso periodo. Si consiglia inoltre a queste fasce di popolazione di non superare due porzioni settimanali di tonno.
Anche l’aspetto ambientale va preso in considerazione. In un simposio Fao del novembre 2010 è emersa la raccomandazione a prendere in considerazione la sostenibilità quando si definiscono gli obiettivi nutrizionali. Da questo punto di vista incrementare il consumo di pesce non è proponibile, vista il depauperamento dei mari. Molte specie sono sparite ed altre sono talmente sfruttate da creare problemi all’ecosistema.
Anche i pesci di allevamento pongono problemi ambientali: per produrre la farina di pesce che serve da mangime si impoveriscono gli stock ittici del mare. Inoltre gli allevamenti rilasciano nell’ambiente acque contaminate (dalle deiezioni degli animali, dai farmaci veterinari). Il consiglio è quindi di limitare il consumo di specie in grave declino (pesce spada, tonno) e di specie che devono essere allevate o importate, privilegiando invece specie dei nostri mari e scegliendo piccoli pesci azzurri (sardine, alici) che tra l’altro sono particolarmente ricchi di EPA e DHA.
In futuro le linee guida per una sana alimentazione di tutti i Paesi dovrebbero essere stilate prendendo in considerazione la copertura dei fabbisogni in nutrienti, la prevenzione delle malattie croniche degenerative, la riduzione dell’esposizione a sostanze potenzialmente tossiche e l’impatto ambientale.
Fonte Corriere.it
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