Per milioni di malati e le loro famiglie quella contro l’Alzheimer è una battaglia quotidiana. In occasione della Giornata Mondiale si torna a parlare di questa malattia che solo in Italia colpisce un milione di persone.
A volte servono mesi o addirittura anni per capire l’origine del male: tre quarti dei 36 milioni di individui con demenza nel mondo non hanno una diagnosi e non possono beneficiare di cure e di informazioni sulla malattia. Nei paesi ad alto reddito, solo il 20-50% dei casi di demenza è riconosciuto e documentato. È questo il principale dato emergente dal Rapporto Mondiale Alzheimer, appena presentato a New York e a Londra.
Perché scarseggiano le diagnosi?
«La mancata diagnosi – si legge ancora nel Rapporto, redatto da un gruppo di ricerca guidato da Martin Prince, del King’s College di Londra – è spesso il risultato della falsa convinzione che la demenza sia parte del normale invecchiamento e che non ci sia nulla da fare, mentre invece trattamenti mirati possono fare la differenza». Questo vale soprattutto allo stadio iniziale della malattia, «quando farmaci e interventi psicologici possono migliorare cognitività, indipendenza e qualità della vita».
Aumenta nei paesi industrializzati
Un problema quello della demenza che preoccupa nei paesi industrializzati, dove la popolazione invecchia sempre di più. I malati di Alzheimer subiscono un processo degenerativo che distrugge le cellule cerebrali in modo progressivo e irreversibile, compromette la memoria e deteriora tutte le principali funzioni mentali.
Con il tempo i pazienti incominciano a dimenticare le cose, fino ad avere difficoltà a riconoscere anche i parenti più stretti. Non possono uscire da soli, perché rischiano di perdersi. La malattia che colpisce il sistema nervoso centrale deruba il paziente dalla propria memoria, azzera ogni ricordo.
La prevenzione
Fondamentale intervenire in tempo e lavorare sulla prevenzione. L’Alzheimer è infatti una malattia degenerativa. Sarebbe opportuno diagnosticare in anticipo il male, quando il paziente è ancora autonomo. «La malattia incomincia molto tempo prima che compaiano i sintomi conclamati e bisognerebbe cominciare a curarla in quel momento. Invece il medico di base sottovaluta segnali importanti, tanto che i pazienti arrivano alle Unità di Valutazione Alzheimer (Uva) quando ormai i segni di demenza sono evidenti e gli attuali farmaci possono solo rallentare un poco il decorso inesorabile della malattia», spiega Claudio Mariani, professore di Neurologia all’Università di Milano-Ospedale
Non colpisce solo gli anziani
«Da varie studi emerge che la diagnosi viene fatta mediamente tre anni dopo l’insorgere dei primi sintomi – spiega Gabriella Salvini Porro, presidente della Federazione Alzheimer Italia 1 – . Questo è dovuto in parte allo stigma che circonda la demenza, in parte alla sottovalutazione dei sintomi da parte dei familiari. C’è poi la questione della scelta del medico e molto spesso non si capisce quale sia il professionista o la struttura giusta. C’è poi un altro problema: quando una persona di 55-60 anni mostra i primi sintomi quasi nessuno pensa che possa essere Alzheimer: questo è frutto di un’altra falsa convinzione, che cioè l’Alzheimer colpisca solo gli anziani».
I sintomi
Esistono comunque dei sintomi che sono il primo campanello di allarme per i familiari. Accanto alla perdita della memoria, ci sono diversi comportamenti che possono rivelare la presenza della malattia. Fra questi, ad esempio, la difficoltà nelle attività quotidiane, i problemi del linguaggio, il disorientamento nel tempo e nello spazio, la diminuzione della capacità di giudizio, la difficoltà nel pensiero astratto, i repentini cambiamenti di umore e la mancanza di iniziativa.
La diagnosi
Non è facile diagnosticare l’Alzheimer e distinguerla da altre forme di demenza senile. «A differenza di altre malattie non esiste un esame specifico per diagnosticare la malattia – aggiunge Salvini Porro – . La diagnosi è spesso un percorso che richiede molto tempo, diverse visite di valutazione del malato e l’esecuzione di numerosi esami clinici e strumentali. In ogni caso non è possibile arrivare ad una certezza diagnostica, possibile solo dopo la morte in seguito ad esame autoptico. Si può arrivare ad una diagnosi di malattia di Alzheimer probabile. L’iter diagnostico prevede la raccolta della storia clinica personale e familiare, la valutazione dello stato mentale, un esame generale e neurologico, l’esecuzione di alcuni esami di laboratorio e di esami strumentali, come tac e risonanza magnetica, e la valutazione neuropsicologica e psichiatrica»
Fonte: La Repubblica
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