Peperoncino e fegato: uno studio ha finalmente fatto luce su questo legame, che da anni gli studiosi indagano. Un po’ di peperoncino a tavola non guasta mai, anzi. La molecola che gli dona quel tipico sapore piccante, la capsaicina, è addirittura in grado di prevenire e ridurre i danni del fegato se assunta quotidianamente. È quanto dimostra uno studio della Libera Università di Bruxelles. I ricercatori hanno presentato i risultati a Vienna in occasione dell’International Liver Congress 2015. Si tratta di uno dei più importanti appuntamenti a livello mondiale dedicato alle malattie epatiche.
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Peperoncino e fegato: il ruolo della capsaicina
I ricercatori hanno dimostrato che la capsaicina è in grado di ridurre l’attività di particolari cellule del fegato. Questo cellule risultano coinvolte nella fibrosi epatica, cioè nella formazione delle “cicatrici” in risposta a un danno dell’organo.
Il team di ricerca ha osservato questo effetto, somministrando la capsaicina in due gruppi di topi di laboratorio in cui era stato indotto un importante danno epatico. Nel primo gruppo, i ricercatori hanno fatto assumere il principio attivo del peperoncino dopo aver provocato un accumulo abnorme di bile nel fegato. Nel secondo gruppo la capsaicina è stata data prima e durante la somministrazione di una sostanza tossica per il fegato contenuta negli estintori.
Peperoncino e fegato: i risultati dello studio
I risultati hanno dimostrato che, nel primo caso, la capsaicina è stata parzialmente in grado di migliorare le condizioni del fegato, inibendo la progressione del danno epatico. Nel secondo caso, invece, ha permesso di prevenire l’insorgenza del danno ma non di ridurre la fibrosi epatica una volta che si era sviluppata.
I risultati, seppure preliminari, sono decisamente promettenti. «I dati mostrano l’importanza di ulteriori studi sulla capsaicina per il trattamento e la prevenzione di lesioni al fegato», spiegano i ricercatori.
Peperoncino e fegato: utili anche altri fitoterapici
Il peperoncino, però, non è l’unico alleato della salute del fegato. Simili proprietà protettive sembrano essere presenti anche in altri alimenti, come nel cardo mariano. Uno studio dell’università malese di Kuala Lumpur ha infatti dimostrato su 60 pazienti che la silimarina contenuta nella pianta è in grado di migliorare (dopo 48 settimane di trattamento) la severità della steatosi epatica, meglio nota con il nome di fegato grasso.
Per chi avesse letteralmente il fegato di provare piatti ancora più esotici, si può provare perfino con il pane alle alghe. Sempre in occasione del congresso di Vienna è stato presentato uno studio dell’università di Bristol. Questa ricerca dimostra come il consumo di pane arricchito con alginato sia in grado di ridurre l’assorbimento dei grassi migliorando i sintomi di chi soffre di steatosi epatica non alcolica.
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