Per gli esperti internazionali dipenderebbe da un cambio nelle abitudini alimentari, a favore di glutine già nell’infanzia, e anche da una maggiore attenzione ai sintomi che ha impennato le diagnosi negli ultimi anni. I dati parlano chiaro: i bambini celiaci sono quintuplicati rispetto al passato, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti, aree geografiche ‘storiche’ per l’intolleranza al glutine. A fotografare la situazione mondiale è uno studio pubblicato su Journal of Pediatric Gastroenterology and Nutrition, condotto da un team italiano del Centro per la Ricerca sulla Celiachia all’Università di Boston, negli Stati Uniti.
«I dati epidemiologici a disposizione della comunità scientifica – precisa Alessio Fasano, coordinatore dell’indagine epidemiologica – tengono però conto solo del numero di pazienti celiaci diagnosticati clinicamente o rilevati tramite screening sierologici di un campione di popolazione ed escludono il cosiddetto ‘icerberg celiaco’ di pazienti non diagnosticati». A fronte delle cifre già da alte, quindi, il numero dei casi potrebbe addirittura essere sottostimato. Una strategia utile per diagnosticare anche i casi nascosti, suggeriscono i ricercatori, sarebbe l’estensione di uno screening quantomeno sui soggetti considerati a rischio, come genitori, figli o fratelli di celiaci e persone con disturbi gastrointestinali cronici come sindrome da colon irritabile oppure con malattie autoimmuni.
Un’altra strategia per limitare l’impatto dei casi di intolleranza al glutine è il controllo di ciò che si mette in tavola: l’aumento di casi pediatrici in fasce geografiche fino a poco tempo fa libere da celiachia è stati, infatti, ricondotto a un cambio drastico di abitudini alimentari. Come in India, dove la coltivazione di grano, recentemente introdotta e implementata, ha fatto impennare il consumo di farinacei e l’insorgenza di quadri di intolleranza. «Recenti studi, tutt’ora in corso, suggerivano che la graduale introduzione del glutine, dai 4 mesi d’età, in piccole quantità durante l’allattamento proteggesse in parte dalla insorgenza di una celiachia- spiega Carlo Catassi, professore associato di Pediatria presso l’Università Politecnica delle Marche e coautore dello studio – Ulteriori studi volti a chiarire il ruolo dell’alimentazione infantile nello sviluppo della malattia celiaca e a misurarne la prevalenza in nuove aree geografiche svolgeranno un ruolo strumentale fondamentale sia per aumentare la consapevolezza sulla celiachia sia per spiegare l’interazione gene e ambiente che guida l’epidemia in tutto il mondo».
I casi di celiachia crescono non solo tra la popolazione pediatrica, anche tra gli adulti: ci spiega perchè Umberto Volta, docente di medicina interna all’Università di Bologna e coordinatore del board scientifico dell’Associazione Italiana Celiachia.