La fibrillazione atriale colpisce quasi il 5% degli italiani e costituisce una delle principali cause di scompenso cardiaco e di ictus, nonché il primo motivo di ricovero ospedaliero per aritmia.
Le cause. All’origine del disturbo c’è un guasto elettrico, per cui l’impulso che anima il muscolo cardiaco non si diffonde regolarmente ma resta confinato agli atri del cuore, che vengono scossi da una raffica impazzita di microcontrazioni.
«Il sangue contenuto negli atri non viene più pompato con efficacia e ristagna, il che favorisce la formazione di masserelle sanguigne solide, i cosiddetti trombi», spiega Alessandro Capucci (puoi chiedergli un consulto), professore ordinario di malattie dell’apparato cardiovascolare all’Università Politecnica delle Marche di Ancona. «Quando il cuore torna a contrarsi correttamente, da questi trombi può distaccarsi qualche frammento capace d’imboccare e ostruire le arterie dirette al cervello».
I sintomi. Vampate di calore al volto, svenimenti, sensazione di batticuore in gola, eventuali dolori al petto.
La terapia. Quando la fibrillazione atriale si dimostra resistente ai trattamenti farmacologici, scende in campo una procedura chiamata ablazione transcatetere. «Con un tubicino introdotto in corrispondenza dell’inguine (in vena o in arteria) e spinto fino al cuore, si va a bruciare il circuito elettrico che genera l’alterazione del ritmo cardiaco, sfruttando una particolare fonte energetica chiamata radiofrequenza», spiega Capucci. La procedura dell’ablazione può ottenere tassi di cura definitiva nell’80-85% dei casi.
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