Gli infortuni durante gli allenamenti o le gare non sono eventi eccezionali nella vita di un atleta. Ma l’odissea, molto dolorosa, che ho dovuto passare per mettere a posto il mio ginocchio destro, che ha subito in totale cinque operazioni, non è stata causata totalmente dalla mia attività sul tatami, come judoka. Anzi. Se è vero che nel 2007 mi ruppi il menisco durante un combattimento, è altrettanto indiscutibile che dopo l’intervento chirurgico e la successiva breve riabilitazione ero come nuovo.
I guai seri arrivarono tre anni dopo: una moto di grossa cilindrata mi venne addosso, procurandomi la rottura del legamento crociato anteriore e del menisco mediale proprio dello stesso ginocchio, quello destro, già operato. Affrontai così il secondo intervento, durante il quale mi venne ricostruito il tendine lesionato con una parte del legamento rotuleo.
Questa volta però non guarii subito, al contrario mi venne la febbre a 40 e il ginocchio molto gonfio si tinse di viola. Nonostante il medico mi aspirasse con una siringa il liquido che si era formato all’interno, la febbre non passava: si trattava di un’infezione post operatoria. Per guarirla si decise di effettuare l’operazione (la terza) di artroscopia per il lavaggio articolare. La febbre passò ma il ginocchio non tornava efficiente, nonostante la fisioterapia. Ero abbastanza innervosito perché non potevo tornare ad allenarmi.
Il mio esordio sul tatami risale a quando avevo solo due anni e mezzo, grazie a mio padre Giovanni, grande maestro di judo, già a 17 anni ero il judoka più giovane a vincere l’oro di uno dei tre campionati assoluti. Amo moltissimo questo sport e mi ci sono dedicato «anima e core», come si dice a casa mia, a Napoli. Dovevo assolutamente recuperare l’uso del ginocchio o la mia carriera come judoka, alla quale tengo moltissimo, avrebbe iniziato a declinare.
Consultai quindi un luminare della medicina dello sport, che diagnosticò il rigetto del legamento ricostruito. Il suo consiglio? Rioperare e procurarsi un nuovo legamento dal rotuleo del ginocchio sinistro, quello sano. Rifiutai perché temevo di compromettere così entrambe le ginocchia.
Tornai sulla strada vecchia, sbagliando probabilmente, e il chirurgo che già mi aveva operato tre volte mi portò di nuovo in sala operatoria per un altro lavaggio articolare. Secondo lui il legamento non era stato rigettato, aveva solo bisogno di essere ripulito. Ci volle tutta la mia forza di volontà e tenacia per rimettermi in piedi, bruciai le tappe della riabilitazione, eliminai presto le stampelle e iniziai la fisioterapia. Però non c’era niente da fare: riuscivo a camminare, trascinando la gamba, ma non potevo correre e non riuscivo ad allenarmi. Il tatami sembrava ormai una chimera.
Nel febbraio 2011, nonostante il ginocchio mi facesse molto male, tornai in palestra. Per sopportare il dolore e recuperare un minimo di mobilità mi facevo fasciare il ginocchio dal fisioterapista in modo da «sostituire» il legamento lesionato. Riuscii persino a combattere in qualche gara di qualificazione per le Olimpiadi, vincendo una medaglia di bronzo. Zoppicavo ancora e avevo molti dolori ma un po’ di judo lo riuscivo ancora a fare. Ma non ero certo il campione di pochi anni prima, quando mi allenavo 5-7 ore al giorno dal lunedì al sabato, a malapena riuscivo a stare sul tatami 20-40 minuti al massimo e poi il dolore acutissimo mi metteva ko. Passai mesi infernali, pensai persino di ritirarmi.
Io però sono come l’araba fenice che risorge dalle sue ceneri, non mi detti per vinto e cercai una soluzione. Incontrai l’ortopedico Venanzio Iacono che a giugno 2012 mi sottopose a un’operazione (la quinta) all’avanguardia: il trapianto di legamento da un donatore, ovviamente deceduto.
Da quel giorno sono rinato, a un mese dall’intervento mi sono dedicato alla riabilitazione. In un posto particolare, però. A casa della mia fidanzata, che è originaria delle isole Seychelles, dove ho passato 40 giorni, in piscina, recuperando pienamente la forma fisica. E sono tornato così a vincere sul tatami: due coppe del mondo, una coppa Europa e sono in corsa per le Olimpiadi di Rio 2016. Dopo tutto quel tempo fermo a guardare il soffitto, ho voluto fare l’asso pigliatutto e ho persino vinto un reality show, Pechino Express edizione 2013.
Il mio allenamento non è cambiato, cerco solo di accrescere maggiormente la muscolatura del ginocchio destro in modo da sollecitare sempre meno il legamento impiantato. Tutte quelle operazioni hanno azzerato la cartilagine e dopo il judo sento ancora dolori, ma non sono più un ostacolo.
Se mi guardo indietro e penso a quegli anni bui pieni di dolore fisico e morale, imbottito di antinfiammatori, mi vengono i brividi. Fisicamente ora è tutto superato e da questa brutta esperienza ho imparato a non mollare mai e a cercare, e trovare, la forza dentro di me.
Marco Maddaloni
Intervista di Rossana Frati – Tratto da OK Salute e benessere aprile 2015