Il prediabete non è una malattia ma un disturbo che, se sottovalutato, può aumentare le probabilità di sviluppare il diabete vero e proprio oppure alcune patologie cardiovascolari. Anche il termine prediabete, utilizzato una volta e ancora oggi diffuso, non è più considerato corretto dalla comunità scientifica. Il prediabete, infatti, non si trasforma necessariamente in diabete: se s’interviene presto, soprattutto modificando stili di vita scorretti, il rischio si abbatte in modo drastico. Meglio parlare, dunque, di alterazioni glucidiche o di iperglicemia. Il focus è a cura di Francesco Giorgino, professore di endocrinologia e malattie metaboliche all’Università degli Studi di Bari (puoi chiedergli un consulto qui).
Due tipi
Le alterazioni glucidiche, in grado di aumentare fino al 30% le probabilità di sviluppare il diabete nei successivi cinque o dieci anni, possono essere di due tipi: la glicemia alterata a digiuno, quando i valori della glicemia sono tra 100 e 125 milligrammi per decilitro (i valori normali si attestano sotto 100, quelli che indicano diabete da 126 in su); oppure la ridotta tolleranza al glucosio, quando i valori della glicemia dopo due ore da un carico di glucosio sono tra 140 e 199 (i valori normali sono inferiori, quelli che indicano diabete superiori a 200).
Cause
Queste alterazioni glucidiche sono causate, per lo più, dal malfunzionamento dell’insulina, l’ormone che tiene sotto controllo la glicemia, oppure da una sua insufficiente produzione da parte delle cellule endocrine. Possono generare iperglicemia anche alcune patologie del pancreas oppure malattie, più rare, dell’apparato endocrino. A essere più a rischio sono, come per il diabete, le persone obese o in sovrappeso, chi ha più di 45 anni, le donne che hanno sofferto di diabete durante la gravidanza oppure chi ha familiarità con il diabete più comune, quello di tipo 2.
Sintomi e diagnosi
Sia la glicemia alterata a digiuno sia la ridotta tolleranza al glucosio, che possono comparire anche contemporaneamente nello stesso paziente, sono per lo più disturbi asintomatici. Significa che in genere non si manifestano in alcun modo, a meno che la glicemia sia particolarmente elevata oppure che l’alterazione sia presente da alcuni anni. In questi casi possono comparire malesseri, stanchezza o addirittura svenimenti, perdita di peso o aumento della sete e della diuresi. La diagnosi si effettua solamente dopo un esame della glicemia oppure dell’emoglobina glicata.
Già il medico di base dovrebbe essere in grado di riconoscere e trattare facilmente questo disturbo. Altrimenti, sarà necessario rivolgersi a uno specialista in nutrizione o dietologia.
Alimentazione
L’iperglicemia è un disturbo che in genere non viene curato attraverso una specifica terapia ma deve essere tenuta sotto controllo tramite dieta e attività fisica regolare (almeno tre ore a settimana). Studi scientifici hanno, infatti, dimostrato che lo sport e un’alimentazione povera di grassi saturi e ricca di fibre sono in grado di abbattere il rischio di sviluppare in futuro il diabete.
Via libera, dunque, a cereali integrali, frutta e verdura in abbondanza, formaggi poco grassi, noci e arachidi al naturale (come racconta Maddalena Ischiale in questa intervista).
Da mangiare con moderazione salumi e carne rossa (al massimo un paio di volte alla settimana). Da evitare, invece, i cibi troppo calorici e zuccherini. Se, poi, il paziente non è in grado di seguire una dieta o di fare attività fisica, il medico potrà prescrivere una cura farmacologica, a base per esempio di acariosi.
Tratto da OK Salute e benessere – giugno 2015