Sono trascorsi 30 anni da quando, in un ospedale inglese, venne alla luce Louise Brown, la prima «figlia della provetta». Agli inizi c’era aria di miracolo, oggi nel mondo sono circa due milioni i bambini nati con tecniche di procreazione assistita, almeno 60mila in Italia, dove ogni anno si stima siano circa 50mila le coppie che si sottopongono a cicli di cure.
Ma quando si può capire che la natura, da sola, forse non ce la fa? «Dopo un anno e mezzo o due di rapporti mirati non protetti quando la donna ha meno di 35 anni», risponde Guido Ragni, esperto del Centro sterilità di coppia del Policlinico di Milano, «dopo un anno tra i 35 e i 38, dopo alcuni mesi quando è vicina ai 40».
Poi ci sono i casi, la metà, di ridotta capacità riproduttiva maschile o la presenza di malattie ereditarie.
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Analisi preliminari
Procedura in vivo
Fecondazione in vitro
Normativa in vigore
Diagnosi preimpianto
Fecondazione eterologa
LE ANALISI PRELIMINARI
Il primo passo è un percorso diagnostico per identificare gli ostacoli e individuare le soluzioni migliori. «Le indagini comprendono tra l’altro esami del sangue per rilevare i livelli ormonali, analisi del liquido seminale, ecografie per valutare lo stato di utero e ovaie», spiega Carlo Bulletti, responsabile dell’unità di fisiopatologia della riproduzione dell’ospedale Cervesi di Cattolica (Rimini). «A volte possono essere necessari accertamenti genetici per capire se la coppia è portatrice di anomalie trasmissibili ai figli e se nel maschio c’è un’infertilità di origine genetica. Per vedere, poi, se le tube sono aperte e se l’ovocita può compiere il suo percorso dall’ovaio verso l’utero, si ricorre all’isterosalpingografia, una radiografia con un mezzo di contrasto».
Le ragioni per cui i gameti femminili, ovociti, e quelli maschili, spermatozoi, non si incontrano sono moltissime, talora sconosciute nonostante i tanti test disponibili, come accade per il 15% delle coppie infertili.
Esistono rimedi diversi per combinare questo appuntamento cruciale, che può aver luogo in provetta, in vitro, o nel corpo della donna, in vivo.
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Procedura in vivo
Fecondazione in vitro
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PROCEDURA IN VIVO
L’inseminazione intrauterina (Iui) è la tecnica di base che ricalca, potenziandole, le normali fasi della riproduzione. «Si sceglie quando c’è una lieve infertilità maschile o a causa sconosciuta e quando problemi, come impotenza o vaginismo, rendono difficili i rapporti», continua Ragni.
«Non è indispensabile, ma si preferisce moltiplicare le chance di riuscita sottoponendo la donna a una blanda stimolazione ormonale per potenziare la funzione ovarica. Si somministrano con iniezioni sottocutanee, per alcuni giorni, quantità modeste di gonadotropine, ormoni che portano l’ovaio a produrre più follicoli. Quando i follicoli hanno raggiunto le dimensioni attese, una dose di gonadotropina corionica (Hcg) avvia l’ovulazione dopo 34 ore».
Una sorta di timer farmacologico, utile a organizzare la procedura di inseminazione. Il tutto avviene sotto stretta sorveglianza medica e con ecografie ravvicinate. «Cinque o sei controlli nell’arco del ciclo», prosegue Ragni, «per scongiurare i rari casi di iperstimolazione ovarica e per contare e misurare i follicoli, che non devono essere più di tre, altrimenti si sospende l’inseminazione perché il rischio di gravidanze multiple è troppo alto».
Alcune ore prima della procedura, il partner maschile deve raccogliere il seme. «Il liquido seminale viene preparato», spiega Ragni, «per eliminare eventuali impurità e selezionare gli spermatozoi più mobili, che verranno inseriti nell’utero con un sondino sottile, in ambulatorio e senza anestesia». Per ogni ciclo, le possibilità di successo sono del 10-15%.
«I rischi sono minimi e la procedura si può ripetere, per un massimo di sei volte, anche se oltre il 90% dei risultati si ottiene nei primi tre cicli», conclude il ginecologo. «Se la procedura fallisce, meglio pensare a tecniche più efficaci e passare, diciamo, dalla bicicletta alla Ferrari».
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FECONDAZIONE IN VITRO
È la macchina più potente, «la prima scelta in caso di infertilità maschile severa, patologie dell’utero come l’endometriosi, un danno alle tube, o se l’aspirante mamma ha superato i 40 anni», spiega Bulletti.
A differenza dell’inseminazione, l’incontro tra ovocita e spermatozoo avviene in provetta, mettendoli a contatto (tecnica tradizionale o Fivet), oppure inserendo lo spermatozoo all’interno del gamete femminile con una microiniezione (tecnica Icsi).
Per la donna è un percorso doloroso e impegnativo, di alcune settimane. «All’inizio o a metà del ciclo, la donna comincia ad assumere tutti i giorni, con iniezioni sottocutanee o spray nasale, un analogo del GnRh, un ormone sintetico che inibisce l’ovulazione spontanea», spiega Paola Anserini, responsabile del centro di fisiopatologia della riproduzione assistita dell’ ospedale San Martino di Genova.
«Quando arrivano le mestruazioni, dopo un controllo ormonale e un’ecografia per verificare che l’ovaio sia a riposo, si parte con la fase di stimolazione vera e propria a base di gonadotropina. L’ormone follicolostimolante, in quantità variabile da donna a donna, si assume attraverso iniezioni quotidiane sottocutanee, che le donne imparano a farsi da sé, facilitate anche da dispositivi già pronti. Dopo altri controlli e circa due settimane, si valuta se il numero e le dimensioni dei follicoli sono adeguati: ci devono essere almeno due o tre follicoli di 16 millimetri, altrimenti si considera fallita la stimolazione. Si dà allora il via all’ovulazione con un’iniezione di gonadotropina corionica e, 36 ore dopo, si procede al pick up degli ovociti, con un intervento in anestesia generale o sedazione profonda, inserendo una sonda attraverso la vagina e aspirando il liquido che contiene i gameti».
Nelle stesse ore, si raccoglie e si prepara il seme maschile. Dopo qualche ora di osservazione, la coppia può tornarsene a casa e la palla passa ai biologi, che iniziano preparare gli ovociti, inseminandoli entro cinque o sei ore. Se tutto va bene, si forma l’embrione, che dopo due o tre giorni è pronto per essere trasferito in utero con un sottile catetere, in ambulatorio e senza anestesia. E non resta che incrociare le dita, aspettare un paio di settimane e fare un test di gravidanza.
«Il tasso di riuscita si aggira intorno al 30%», dice Ragni. «In caso di fallimento la procedura si può ripetere, anche quattro o cinque volte, a seconda della coppia».
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Fecondazione eterologa
LA NORMATIVA IN VIGORE
Nel maggio del 2009 la sentenza n. 151 della Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionali (di fatto abolendoli) alcuni paletti stabiliti della legge 40 del 2004, al centro di grandi polemiche. La legge, sottoposta anche a un referendum che però non raggiunse il quorum, stabiliva infatti che si potevano fecondare solo tre ovociti, che tutti e tre gli eventuali embrioni andavano impiantati, che gli embrioni non potevano essere congelati e che non era possibile la diagnosi preimpianto. Era e resta vietata anche la fecondazione eterologa.
La sentenza n. 151 ha stabilito che il numero di ovociti fecondabili non può essere limitato per legge. «Sta al medico la valutazione clinica e la decisione, con il consenso della coppia, di quanti ovociti fecondare», spiega Antonio Guglielmino, responsabile del centro Hera di Catania, unità di medicina della riproduzione. «Non sono solo tre, ma quelli utili per ottenere un numero di embrioni necessari che possono dare un serio tentativo di concepimento».
Altra novità è che gli embrioni non devono necessariamente essere impiantati tutti insieme, ma possono essere congelati e utilizzati successivamente. In questo modo si evitano le gravidanze multiple, che negli anni in cui era in vigore la legge 40 erano aumentati arrivando a essere il triplo rispetto alla media mondiale.
«Una gravidanza gemellare o trigemina fa correre pericoli in più alla madre e ai feti», commenta Carlo Flamigni, professore fuori ruolo di ginecologia e ostetricia all’Università di Bologna. Tanto che negli Stati Uniti l’American Society of reproductive medicine ha raccomandato di non impiantare più di un embrione per volta alle donne sotto i 35 anni.
Infine, la sentenza della Corte Costituzionale ha accolto anche una pronuncia del Tar del Lazio del 2008, stabilendo che l’analisi genetica preimpianto dell’embrione è legittima e può essere richiesta dalla coppia.
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LA DIAGNOSI PREIMPIANTO
Con la diagnosi genetica preimpianto (Pgd) è possibile selezionare embrioni sani nel caso in cui i genitori siano portatori di gravi patologie trasmissibili. Francesco Fiorentino, biologo molecolare e direttore del Laboratorio Genoma di Roma, spiega in che modo: «A tre giorni dalla fecondazione in vitro, si prelevano una o due cellule dall’embrione sulle sette-otto di cui è composto, e si esamina la porzione di Dna che può contenere la mutazione corrispondente alla malattia da evitare (circa 50mila genetiche): talassemia o atrofia muscolare spinale, Corea di Huntington o distrofia muscolare».
Un intervento così delicato non rischia di danneggiare l’embrione? «No», assicura Guglielmino, «le tecniche oggi sono raffinate e, secondo dati raccolti da tutto il mondo, su 30mila embrioni sottoposti a Pgd, al secondo giorno era sopravvissuto il 98%». Al quinto giorno dopo la fecondazione, il trasferimento nell’utero dell’embrione o degli embrioni sani.
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LA FECONDAZIONE ETEROLOGA
Le coppie italiane che vanno all’estero (un terzo delle coppie che compiono questi viaggi in Europa arrivano proprio dal nostro Paese) possono optare per la fecondazione eterologa, ovvero con gameti esterni alla coppia, quando l’uomo o la donna non dispongono di ovociti o di spermatozoi utili alla procreazione.
Spiega Bulletti: «Succede per esempio alle donne in menopausa precoce, agli uomini con azoospermia, a chi ha affrontato terapie dannose per la fertilità come molte cure oncologiche».
Le procedure variano. Sempre sono previsti controlli rigorosi sui donatori, per assicurarsi che non abbiano malattie infettive o anomalie cromosomiche, e molti centri garantiscono anche la selezione di donatori compatibili con i caratteri somatici della coppia ricevente. «La donazione di seme maschile utilizza di regola materiale crioconservato presso le banche del seme, dopodiché si opterà per una fecondazione in vivo e in vitro», continua Bulletti.
Più complessa la donazione di ovociti poiché, data la scarsità di risultati con materiale scongelato, occorre che stimolazione e prelievo per la donatrice, inseminazione e successivo impianto siano sincronizzati.
Donatella Barus – OK La salute prima di tutto
Ultimo aggiornamento: 18 giugno 2010