Focus di Marco Pagani (puoi chiedergli un consulto), responsabile del servizio di fisiopatologia esofagea a indirizzo chirurgico del Policlinico di Milano, presso la clinica chirurgica I.
Se il reflusso gastroesofageo con associata ernia iatale dà sintomi persistenti e non si può curare con i farmaci (inibitori di pompa protonica, antagonisti dei recettori H2 dell’istamina o procinetici), diventa necessario l’intervento. Quasi sempre si procede in laparoscopia, cioè introducendo attraverso piccoli tagli nell’addome tre o quattro sonde sottili, che sorreggono alla loro estremità gli strumenti operatori e una minitelecamera.
Il chirurgo così riduce l’ernia iatale, ossia riporta nella sua sede naturale quella parte dello stomaco che si era spostata nella cavità toracica attraverso il diaframma (il muscolo che separa il torace, appunto, dall’addome). Restringe poi l’apertura che si era allargata nel diaframma e crea una sorta di valvola anti reflusso.
L’intervento per l’ernia iatale (leggi anche: come prevenirla) viene eseguito in anestesia generale. Dopo due o tre giorni il paziente torna a casa.
Marco Pagani, responsabile del servizio di fisiopatologia esofagea a indirizzo chirurgico del Policlinico di Milano
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