Salute

Reflusso gastroesofageo: cause, diagnosi, cure

Focus di Roberto Penagini, professore associato di gastroenterologia e dirigente medico presso l’ospedale Maggiore Policlinico di Milano, e di Claudio Romano, gastroenterologo pediatra all'Università di Messina

Focus di Roberto Penagini (puoi chiedergli un consulto), professore associato di gastroenterologia e dirigente medico presso l’ospedale Maggiore Policlinico di Milano, e di Claudio Romano, gastroenterologo pediatra all’Università di Messina.

La malattia da reflusso gastroesofageo (Mrge) è un problema diffuso. Oltre un terzo degli italiani ne soffre almeno una volta al mese. Il disturbo si ha quando gli acidi dallo stomaco risalgono lungo l’esofago, bagnando, infiammando e corrodendo alla lunga le sue pareti (guarda).

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SINTOMI. Bruciore di stomaco o dietro lo sterno, acidità, rigurgito, senso di digestione lenta e faticosa, sono i sintomi tipici del reflusso gastrico esofageo. Quelli atipici, che si manifestano nel 15% dei pazienti, sono tosse stizzosa, sensazione di un corpo estraneo in gola, difficoltà a deglutire, eruttazioni, dolore al petto, disfonia e raucedine.

CAUSE. All’origine sembra esserci un difetto nel funzionamento del cardias, la valvola che separa l’esofago dallo stomaco. Spesso è provocato dalla presenza di un’ernia iatale, ossia la risalita verso il torace di parte dello stomaco attraverso lo iato (quel forame del diaframma attraverso cui l’esofago si unisce allo stomaco).

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DIAGNOSI. All’endoscopia, in grado di accertare solo i casi di malattia erosiva (più rara), si preferisce un test che prevede la somministrazione per due settimane di farmaci specifici, gli inibitori della pompa protonica: se i sintomi scompaiono la diagnosi è confermata. Ecco quali sono gli altri esami diagnostici a disposizione:

• Esofagogastroduodenoscopia. Consiste in una sonda munita di telecamera che, inserita dalla bocca, consente al medico di guardare direttamente all’interno di esofago, stomaco e duodeno, rilevando l’eventuale presenza di lesioni dovute all’acido, e quindi determinante in caso di gastrite e ulcera. Si tratta dell’esame standard, con cui si inizia qualunque indagine. Ma non sempre è sufficiente a rivelare la presenza di reflusso.

• pH impedenzometria. È l’esame diagnostico più avanzato (guarda come funziona), da eseguire quando l’esofagogastroduodenoscopia non dà risultati. Consiste in un sondino che, inserito attraverso il naso, arriva all’esofago. Il sondino è collegato a un piccolo dispositivo che registra la presenza, i comportamenti e gli effetti di acido e/o bile nell’esofago nel corso di 24 ore vissute dal paziente in assoluta normalità. A fine prova il medico analizza quanto è avvenuto in ogni momento della giornata ed è così in grado di correlarlo ai sintomi riferiti dal paziente attraverso un diario.

• Manometria esofagea. Attraverso un sondino nasale collegato a un computer vengono studiati i movimenti dell’esofago (peristalsi). L’esame dura mezz’ora, durante la quale viene fatta eseguire al paziente una serie di deglutizioni a vuoto o di piccoli sorsi d’acqua, e serve in alcuni casi di reflusso per completare il quadro degli accertamenti utili alla diagnosi.

DIETA. Uno stile di vita corretto è in grado di ridurre la sintomatologia nel 20-30% dei casi. Il primo consiglio è di non sovraccaricare lo stomaco. Dunque l’ideale è fare cinque pasti al giorno, con due spuntini frapposti tra colazione, pranzo e cena, per evitare il consumo di porzioni abbondanti, cercando di mangiare lentamente, masticando molto i cibi (guarda: quelli ammessi e quelli bocciati).

Bisogna poi evitare subito dopo i pasti:
– di mettersi a dormire;
– di eseguire sforzi fisici;
– di indossare vestiti e cinture troppo stretti.

È consigliabile invece:
– masticare chewin-gum, perché stimola la salivazione e la frequenza della deglutizione;
– dormire con la testata del letto rialzata (nei casi indicati dal medico).

TERAPIE. Nella grande maggioranza dei casi si ottengono buoni risultati con gli inibitori della pompa protonica, che riducono la quantità di acido nello stomaco, e vanno in genere assunti per lunghi periodi, stabiliti dal medico. Nei rarissimi casi di mancata risposta ai farmaci, si rimodella la giunzione gastroesofagea con un intervento per l’ernia iatale.
Roberto Penagini, dirigente medico presso l’ospedale Maggiore Policlinico di Milano, e Claudio Romano, gastroenterologo pediatra all’Università di Messina

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