La resistenza agli antibiotici è nata molto prima degli antibiotici stessi. Si tratta di un meccanismo di difesa naturale “scritto” nel Dna dei batteri che vivono nel nostro organismo:quiescente e silenzioso, può essere “risvegliato” proprio attraverso l’assunzione di antibiotici.
E’ quanto dimostra un importante studio condotto da un gruppo di ricercatori statunitensi sulla tribù degli Yanomami, indigeni scoperti nel 2009 in una remota regione montuosa del Venezuela.
Le analisi microbiologiche e genetiche hanno rivelato che i batteri naturalmente presenti sulla pelle e nell’apparato digerente di questi amerindi sono tra i più variegati al mondo: nel loro Dna contengono pure i geni della resistenza agli antibiotici. Una scoperta sorprendente, se si pensa che la tribù ha vissuto isolata per quasi 11.000 anni e non conosce l’uso dei farmaci.
«Queste persone – spiega Erica Pehrsson,ricercatrice dell’Università di Washington – non hanno mai assunto i nostri antibiotici moderni. Per loro l’unica possibilità di venire in contatto con degli antibiotici è quella dovuta all’ingestione di microbi del suolo che producono antibiotici naturali. Eppure, nel cavo orale e nelle feci, presentano batteri che contengono diversi geni capaci di disattivare antibiotici naturali, semi-sintetici e sintetici».
Alla luce di questa scoperta, i ricercatori ipotizzano che la resistenza agli antibiotici sia una proprietà del tutto naturale, un meccanismo di difesa sviluppato dagli stessi batteri per difendersi dagli attacchi dei microrganismi competitori. L’esposizione agli antibiotici, poi, sarebbe il “grilletto” in grado di attivare questa autodifesa.
«I nostri risultati, come altri in precedenza, indicano la presenza di un legame tra il calo della biodiversità dei batteri, l’alimentazione tipica dei paesi industrializzati e gli antibiotici moderni, con l’aumento registrato a partire dagli anni Settanta delle malattie immunitarie e metaboliche, come l’obesità, le allergie, l’asma e il diabete», afferma la coordinatrice dello studio Maria Dominguez-Bello, della New York University. «Crediamo che in questi ultimi 30 anni si siano sviluppati dei fattori ambientali che hanno favorito queste malattie, e probabilmente i microrganismi del nostro corpo sono coinvolti».