C'era una volta una bambina che vedeva il mondo da "un'altra prospettiva". Una bambina con gravi problemi alla vista che a quindici mesi, un giorno di pioggia in mezzo agli alberi, si lasciò scappare una frase da grandi: "Quante foglie gocciolanti". Poi rimase in silenzio per un anno. Quella bambina era speciale anche perché lo era la sua famiglia, a partire da suo padre, Franco Basaglia, l'uomo che rivoluzionò la cura della malattia mentale in Italia.
Alberta Basaglia oggi è una psicologa, responsabile a Venezia del Servizio partecipazione giovanile e Cultura di pace, che – dopo lungo pensare – ha deciso di raccontare la sua vita fuori dal comune nel bel libro "Le nuvole di Picasso" (Feltrinelli).
"Vedere di sghembo era il mio modo per poter osservare il mondo" scrive Alberta Basaglia che ammette di essere stata gelosa di "un papà diventato improvvisamente una rockstar". Un papà che era anche un grande psichiatra, autore della riforma che fece chiudere i manicomi. Con la sua battaglia (diventata una storica legge che porta il suo nome) Basaglia mise al primo posto il malato e non la malattia. Grazie a lui, fra la fine degli anni Ottanta e l'inizio dei Novanta più di centomila persone uscirono dagli ospedali psichiatrici e in Italia si cominciò a parlare di case e di abitare, invece che di pazzi da contenere.
La rivoluzione di Basaglia si avviò in famiglia, dove niente era considerato impossibile. Alberta ragazzina ricorda le telefonate di notte: "Chi sarà scappato? Si chiedevano i grandi"; le feste "da manicomio liberato" con le tovaglie a quadretti bianchi e rossi; le spaventose cartelle cliniche dei tanti bambini internati anche se davvero malati non erano. "È soprattutto per loro se ho deciso di scrivere questo libro", ci spiega Alberta Basaglia. E per rispondere alla domanda di sempre: "Ma tu non avevi paura dei matti?".