«Ah, le lasagne della mamma!». Quante volte le abbiamo mangiate per tirarci un po’ su di morale? Ora una ricerca statunitense spiega perché ci rifugiamo in queste pietanze nei momenti no. Gli psicologi dell’Università di Buffalo hanno scoperto che l’attrazione che proviamo per certi cibi dipende dal rapporto emotivo che ci lega con la persona che ce li ha preparati per la prima volta: un “dolce ricordo” che ci dona conforto anche nei momenti più difficili della vita, come spiegano i ricercatori in uno studio pubblicato sulla rivista Appetite.
«I cibi che ci danno conforto sono spesso quelli che ci preparavano quando eravamo bambini», spiega la psicologa Shira Gabriel. «Se abbiamo un legame positivo con la persona che li cucinava – aggiunge la ricercatrice – allora c’è una buona probabilità che saremo ancora attratti da quei piatti nei momenti di solitudine e isolamento». I ricercatori sono giunti a questa conclusione dopo aver analizzato i comportamenti di oltre 150 studenti universitari. I risultati raccolti sono in linea con quanto dimostrato dallo stesso gruppo di ricerca in uno studio precedente. «Avevamo dato a tutti i partecipanti della pastina in bordo di pollo», ricorda Gabriel. «Soltanto le persone che avevano un legame sociale associato a quella zuppa, finivano con l’identificarla come un cibo che dà conforto e si sentivano socialmente accettati dopo averla mangiata».
Questi risultati aprono una nuova via per trattare anche attraverso l’alimentazione quei disturbi psichici che ruotano intorno al senso di solitudine, isolamento e inadeguatezza. Anche se questo genere di terapia non sarà del tutto esente da “effetti collaterali”: «sebbene questi cibi non ci spezzeranno mai il cuore, potrebbero però distruggere la nostra dieta», conclude ironicamente la psicologa Shira Gabriel.
Elisa Buson