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Nicoletta Mantovani: vorrei guarire dalla sclerosi

La vedova di Luciano Pavarotti si confessa su OK di dicembre: «Sono in coda per una sperimentazione italiana che forse mi curerà»

«Vorrei guarire dalla sclerosi multipla. Forse non è più un’utopia da quando un professore dell’Università di Ferrara, Paolo Zamboni, ha applicato una tecnica che ha messo a soqquadro il mondo scientifico ma che ha avuto risultati molto significativi sui malati.
Quel medico si è accorto, con la sua équipe, che un restringimento anomalo delle giugulari può avere un ruolo importante nella sclerosi, perché provoca un ristagno di sangue nel cervello, detto Ccsvi. E i cento interventi sperimentali eseguiti finora per allargare queste vene gli hanno dato ragione.

Sono in lista d’attesa
per un intervento sperimentale
La mia giugulare sinistra è ostruita all’80%, voglio farmi operare. Io sono in lista d’attesa da un anno e mezzo, prima o poi arriverà il mio turno. Non voglio favoritismi e aspetto, anche se l’elenco è lunghissimo.
Sto combattendo contro la mia malattia da quando ero una ragazzina, anche se per molto tempo non ho saputo di averla. Perché quando ero piccola i medici e gli psicologi, ogni volta che mi spaventavo se il pavimento intorno a me saliva e scendeva, o mi sembrava di perdere i contatti con la realtà e di vedere il mondo attraverso un grosso vetro, ripetevano: “È un problema di crescita, passerà”.
Ma non è andata così. Anzi, proprio in età adulta, quando ormai ero una donna di 24 anni, si è verificato uno degli episodi più sgradevoli della mia vita.

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Ero negli Stati Uniti con Luciano Pavarotti, che avevo conosciuto poco tempo prima, quando una mattina non ho sentito più niente dall’ombelico in giù: le gambe, i muscoli, la pelle, tutto era bloccato, insensibile. Luciano si è preoccupato moltissimo, abbiamo chiamato un neurologo. “È lo stress”, mi ha detto. “Lei fa troppi viaggi, signorina”. Quasi ci ho creduto.

La diagnosi 17 anni fa
Nessuno mi ha parlato di sclerosi multipla fino al Natale successivo. È stata mia madre, in verità, a dare la svolta. Durante i brindisi, a Bologna, mi ha raccontato che un suo amico medico le aveva parlato dell’importanza di una tecnica innovativa, 17 anni fa, la risonanza magnetica.
Beh, quel dottore è tornato apposta dalle vacanze per sottopormi all’esame e capire se il mio era davvero stress. E il referto, per la prima volta, conteneva la parola tremenda: sclerosi. Diagnosi confermata qualche settimana dopo in un ospedale di Los Angeles. “Prima o poi, lei finirà su una sedia a rotelle”, mi ha buttato lì uno specialista americano molto stronzo, passatemi il termine.
Ricordo la rabbia di Luciano. Quasi gli è saltato addosso, urlando: “Lei non è un medico! Non può comportarsi con tanta brutalità!”. Ho pianto per settimane, e la mia idea del mondo si è stravolta. “Cerca di prendere la malattia come un’opportunità, non come una sfortuna”, cercava di consolarmi Luciano. “Se ti concentri solo sui danni, diventeranno ancora più grandi. Invece, devi imparare ad apprezzare molto di più ogni frammento della vita, ogni minimo attimo. Ti eviterà di sprecare le emozioni”.

Ho buttato il cortisone
Aveva ragione, ma quanto è stato difficile. Per un anno non ho combinato nulla. Poi, di colpo, la paura si è trasformata in terrore, perché un giorno da un occhio non ho più vi fortissime di cortisone: 60 pastiglie al giorno. Ero a New York con Luciano, e il mio viso si era gonfiato, il mio corpo anche. Stavo male, piena di rabbia e di disperazione. E a un tratto, in un momento di furore, ho preso le pillole di cortisone e le ho buttate nel water. Basta!

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L’occhio ha ripreso a funzionare, piano piano (per merito dei farmaci, hanno detto i medici, ma io non ne sono così sicura). In ogni caso ho deciso che non avrei mai più preso quella valanga di compresse. Ho invece accettato il consiglio di farmi controllare ogni sei mesi, con una risonanza.
E ogni volta, da allora, ho visto quei buchi, perché così appaiono, in alcune zone del mio cervello. Sono i punti in cui il rivestimento dei neuroni si sfalda: in questo consiste la sclerosi.
“Con un tale grado di malattia non potresti camminare”, mi hanno spiegato più volte i medici. Però io cammino, e anche bene, e lavoro, e vado a prendere mia figlia Alice a scuola. La sclerosi può presentarsi in mille varianti diverse. Questo bisogna dirlo, e ripeterlo, per portare un messaggio di speranza reale e cancellare quell’aura triste e sbagliata che troppo spesso accompagna le persone con questa patologia.

Sono pronta a fare da cavia
In più, sono arrivati gli studi di Zamboni e del suo collega Fabrizio Salvi, neurologo dell’ospedale Bellaria di Bologna. Li ho conosciuti qualche anno fa, durante un convegno, e mi hanno subito conquistata, al punto che ho deciso di battermi perché la loro tecnica potesse trovare una larga sperimentazione negli ospedali italiani. Per questo ho accettato la presidenza onoraria dell’Associazione nazionale Ccsvi nella sclerosi multipla. Sono pronta a fare da cavia. Quando arriverà il mio turno».
Nicoletta Mantovani (testo raccolto da Paolo Rossi Castelli per OK La salute prima di tutto di dicembre 2010)

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