L’isterectomia è l’intervento attraverso cui viene asportato l’utero. Si definisce totale se viene eliminato del tutto, subtotale se si conserva il collo, cioè la parte che sporge in vagina.
Spesso all’operazione si associa la rimozione delle ovaie, se colpite da una patologia (per esempio, cisti ovariche) o come prevenzione da eventuali tumori maligni.
• I problemi che portano in sala operatoria
«Si interviene solo nei casi estremi», spiega Antonio Lanzone, che dirige il reparto di ginecologia disfunzionale all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma. «Tumori maligni (carcinomi) o benigni (fibromi) se determinano emorragie o fenomeni compressivi a vescica, intestino, uretere, con dolori simili a una colica renale; casi dell’alterazione della mestruazione caratterizzata da eccessivo aumento del flusso».
• Tecniche chirurgiche
La tecnica addominale, cioè il classico taglio sull’addome, è preferito nei casi più complessi.
«In alternativa, si praticano la tecnica vaginale (colpoisterectomia), con cui si sfila l’utero dalla vagina, e la laparoscopia (che consente di operare con microstrumenti attraverso tre piccole incisioni, con decorsi post operatori brevi)», continua Lanzone.
• Le conseguenze possibili
La menopausa chirurgica è inevitabile solo in caso di asportazione delle ovaie ed è molto più brusca e violenta di quella naturale. Spesso si procede con una terapia ormonale sostitutiva.
Nell’isterectomia totale, maggiore facilità di prolasso vaginale (discesa verso il basso e talvolta fuori dall’introito vaginale di una o più strutture pelviche, come vescica e retto).
Problemi psicologici e depressione, dovuti al fatto che molte donne, a prescindere dall’età e dal fatto che abbiano o meno avuto già figli, vivono l’eliminazione dell’organo riproduttivo come una ferita della femminilità.
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