Non è un pacemaker per regolarizzare il ritmo cardiaco, ma un minuscolo sensore che ‘spia’ il cuore dall’interno ed è pronto a segnalare l’allarme quando l’organo inizia a ‘cedere’: è miniaturizzato il nuovo sistema di monitoraggio a distanza per i pazienti con scompenso cardiaco avanzato che sono già stati ricoverati in ospedale.
Approvato lo scorso anno dalla FDA americana, l’ente che regola l’immissione in commercio di nuovi farmaci e dispositivi medicali, il microchip è già stato testato in alcuni programmi pilota negli Stati Uniti. Con tecnica mininvasiva, il sensore viene posizionato direttamente nel cuore e non ha bisogno di batterie per funzionare. «Tutto ciò che il paziente deve fare è si sdraiarsi su uno speciale tappetino», spiega Bradford E. Warden a capo del team di cardiologi della West Virginia University, uno dei gruppi che ha già eseguito questo tipo di impianto. «Le onde radio sono poi trasmesse a un sistema elettronico esterno e il dispositivo misura la pressione nell’arteria polmonare. Ci consente di rilevare qualsiasi cambiamento di pressione con una tempestività tre o quattro volte superiore prima che il paziente sviluppi edema polmonare, ovvero fluido nei polmoni». L’aumentare della pressione polmonare, infatti, è un campanello d’allarme che il cuore non pompa sangue in modo corretto. Il tipico sintomo è il fiato corto ma può essere percepito dal paziente solo quando lo scompenso cardiaco è avanzato: il sensore più piccolo di una moneta, invece, consente di riconoscerlo prima della comparsa dei sintomi e intervenire tempestivamente.
I dati finora raccolti sull’efficacia della ‘spia’ cardiaca hanno dimostrato che è in grado di ridurre fino al 37 per cento le riospedalizzazioni dei pazienti, limitando quindi gli interventi in emergenza. «Permetterà anche ai pazienti di vivere con più serenità, spazzando via le preoccupazioni», assicurano i medici statunitensi.