Lo chiamano effetto Angelina: la decisione della star di Hollywood di sottoporsi a una mastectomia bilaterale ha fatto quasi raddoppiare, nel giro di un anno, le richieste di test genetico per il cancro del seno e delle ovaie. Stati Uniti, Gran Bretagna, Italia: nessun Paese si è salvato dallo tsunami mediatico che ha conquistato perfino la copertina del famoso settimanale Time. Nei mesi successivi alle rivelazioni della Jolie, le richieste di test genetico sono raddoppiate anche da noi. A OK parla Claudia Borreani, responsabile della struttura semplice dipartimentale di psicologia clinica della Fondazione Irccs Istituto nazionale dei tumori di Milano.
} Pro e contro. Il caso Jolie ha sicuramente aumentato l’attenzione delle donne verso la prevenzione, ma dall’altro lato ha portato a una percezione un po’ troppo semplificata di quella che è una realtà ben più complessa. Adesso molte pazienti si rivolgono al medico per fare il test genetico pensando erroneamente di fare un esame banale, oppure saltano questo passaggio arrivando a chiedere direttamente l’intervento di chirurgia profilattica. Insomma, la situazione ci è un po’ sfuggita di mano. È quindi giunta l’ora di fare un po’ d’ordine. Il test genetico va fatto solo nelle donne che hanno requisiti precisi, come ad esempio la familiarità per il tumore della mammella o dell’ovaio, ed è il medico a stabilirlo. È importante chiarire questo aspetto, perché sempre più spesso ci troviamo di fronte a pazienti che chiedono di fare il test pur non essendo idonee e, davanti a un rifiuto, si risentono come se fosse stata negata loro una possibilità.
} Consulenza genetica. In realtà, il test genetico non è una passeggiata, anzi: se non viene ben gestito, rischia di trasformarsi in una «patata bollente». I risultati, infatti, possono essere scomodi, difficili da accettare, e rischiano di mettere la donna davanti a scelte molto dure. La soluzione, in questi casi, è una sola: la consulenza genetica. Il medico genetista può aiutare la paziente ad affrontare i dubbi e le paure, accompagnandola nelle sue decisioni. La consulenza viene fatta in due tempi: prima del test, per spiegare alla donna che tipo di informazioni potrà ottenere, e dopo l’esame, in modo da gestire i risultati e scegliere il migliore percorso di prevenzione. A seconda degli esiti del test, si può decidere se sottoporre la paziente a un monitoraggio più attento, oppure se ricorrere all’intervento di chirurgia profilattica. In questo caso il percorso decisionale è scandito dall’incontro con il chirurgo senologo, il ginecologo, il chirurgo plastico e anche lo psicologo.
} Le paure. La consapevolezza di essere geneticamente predisposta al tumore può rappresentare un pericoloso tarlo, capace di far emergere tutte le paure e le insicurezze che la paziente si porta dietro dalle sue precedenti esperienze. Spesso parliamo di donne che hanno già visto morire per tumore la madre o la sorella, e che sanno benissimo cosa vuol dire la malattia. Per queste pazienti il risultato del test non è una sorpresa sconvolgente, ma spesso una semplice conferma di un sospetto preesistente. Il modo con cui si affronta la situazione, però, cambia da soggetto a soggetto. Le donne più giovani subiscono un impatto più forte, perché spesso scoprono di essere a rischio quando sono sane e devono ancora pianificare la loro vita e un’eventuale maternità: l’asportazione dei seni e delle ovaie per loro è una decisione davvero molto impegnativa. Le donne più avanti con gli anni, invece, hanno già messo in conto la possibilità di ammalarsi, e spesso si trovano alla fine del periodo fertile. Per loro la via dell’intervento è più facile da scegliere, perché la difesa della loro salute ha in quella fase della vita la priorità sul tutto il resto.
Tratto da OK Salute e benessere febbraio 2015
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