«Noi non viviamo nel buio, come la maggior parte delle persone con cecità, ma in un abbaglio di luce, che non illumina niente e cancella tutto ciò che c’è dietro». È con queste parole che Paula Morandi Treu, membra dell’Associazione Mitocon, spiega cosa significa vivere con la neuropatia ottica ereditaria di Leber (Leber’s hereditary optic neuropathy, Lhon), della quale è affetta da 28 anni. Si tratta di una malattia genetica rara che, a differenza di altre, non dà segno di sé alla nascita ma compare spesso nel pieno della giovinezza di un individuo, portandogli via quel bene prezioso che è la vista.
«La “perfidia” di questa patologia invalidante sta proprio nel fatto che si manifesta frequentemente tra i 15 e i 30 anni, anche se ultimamente è cresciuto il numero degli over 50 colpiti. Ciò significa che la persona ha vissuto a lungo in un mondo “a colori” per poi non essere più in grado, improvvisamente, di riconoscere i volti, leggere, guardare la televisione, guidare».
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Lhon: di cosa si tratta?
Per comprendere meglio il processo di questa malattia e ciò che comporta a livello visivo, si può immaginare la retina come una sorta di telecamera che capta un’informazione visiva e la trasforma in un impulso elettrico. A questa struttura è collegato, mediante le fibre nervose composte dalle cellule ganglionari, il nervo ottico che, simile a un cavetto che trasporta la corrente, trasmette lo stimolo elettrico al cervello. Quest’ultimo, come un vero e proprio computer, lo elabora in un’immagine coscientemente percepita dall’individuo. Se le cellule che generano il nervo ottico muoiono precocemente, le fibre nervose degenerano e il nervo ottico non è più in grado di trasferire l’informazione al cervello, che sarebbe comunque capace di elaborarla correttamente.
Perché le cellule ganglionari muoiono?
Questa anomalia, che colpisce solo quella tipologia di cellule retiniche, è causata da un difetto genetico dei mitocondri, organelli responsabili di fornire energia vitale alla cellula stessa. Se nel loro Dna sono presenti delle particolari mutazioni genetiche, i mitocondri generano alcuni prodotti pericolosi che favoriscono la morte prematura della cellula. «La particolarità di questa patologia è che la trasmissione avviene sempre per via materna: gli uomini malati non possono trasmettere la Lhon ai propri figli mentre le donne trasferiscono sempre il difetto genetico alla prole. Ereditare le mutazioni, però, non significa automaticamente essere affetti dalla malattia ma solo essere predisposti a svilupparla in presenza di altri fattori genetici e ambientali, sui quali la scienza sta ancora conducendo studi. Esistono persone, infatti, portatrici del difetto genetico che, tuttavia, non manifestano mai nell’arco della vita i sintomi della neuropatia ottica ereditaria di Leber» conferma Morandi Treu.
Come si manifesta?
Come abbiamo già sottolineato, questa malattia rara, che in Italia interessa una persona su 45-50.000 in prevalenza di sesso maschile, si manifesta con una particolare – e diversa da tutte le altre – forma di cecità. «La Lhon insorge piuttosto improvvisamente con uno scotoma centrale, cioè una macchia bianca abbagliante, posta al centro del campo visivo. Per dare meglio l’idea, è come se qualcuno puntasse perennemente una torcia accesa verso gli occhi del malato, impedendogli di vedere tutto ciò che sta al di là di questa fonte luminosa» continua la paziente.
«Inoltre, questa condizione crea problemi di fotofobia: quando si spegne la luce artificiale, ad esempio quando si va a dormire, il cervello proietta le forme di questa macchia centrale nel campo visivo e continua a far percepire all’individuo una luminosità che in realtà non esiste perché l’ambiente circostante è buio. La cornice periferica della visione, invece, è “costellata” di puntini bianchi che, comunque, consentono in minima parte di muoversi in autonomia nelle zone familiari e svolgere alcune attività quotidiane. Per questo motivo, e anche per il fatto che i tratti espressivi del viso non subiscono modificazioni, qualcuno potrebbe anche non accorgersi della disabilità di questi malati rari» spiega nel dettaglio la paziente.
La perdita della vista centrale, totalmente indolore, si manifesta prima in un occhio e poi, nel giro di pochi mesi, anche nell’altro, stabilizzandosi entro un anno circa dall’insorgenza dei primi sintomi.
La Lhon è poco conosciuta e ciò porta a un ritardo diagnostico importante
Purtroppo, come spesso accade quando si ha a che fare con una malattia rara, la neuropatia ottica ereditaria di Leber è ancora oggi poco conosciuta tanto che per buona parte degli specialisti è molto difficile diagnosticarla o anche solo sospettarla. «Non solo alcuni oculisti non riconoscono i segni della patologia ma in alcuni casi la confondono addirittura con una neurite ottica, cioè un’infiammazione del nervo ottico causata frequentemente dalla sclerosi multipla, o addirittura vengono svolti esami sbagliati, come i PEV da Flash, che in realtà servono per diagnosticare l’amaurosi congenita di Leber e altre retiniti che nulla hanno a che fare con una patologia mitocondriale che coinvolge le cellule ganglionari come l’atrofia ottica di Leber».
«Se la diagnosi è sbagliata lo è poi anche la terapia intrapresa, che non dà ovviamente gli esiti sperati. Ciò comporta un ritardo diagnostico importante, che pregiudica seriamente la prognosi della malattia» ricorda Morandi Treu. Se la Lhon viene individuata tempestivamente, e ciò lo si può fare con l’esame oftalmoscopico, la tomografia a coerenza ottica (OCT) e l’esame genetico, si può iniziare quanto prima l’unica terapia attualmente approvata per questa patologia.
L’importanza di far conoscere questa e altre malattie mitocondriali
«È importante, quindi, cogliere ogni occasione possibile per far conoscere questa patologia, così come tutte quelle mitocondriali, non solo alla popolazione generale ma anche alla comunità scientifica» ribadisce la paziente. E Mitocon Onlus, nata nel 2007 da un gruppo di genitori di bambini affetti da queste malattie rare, si prefigge anche l’obiettivo di promuovere, attraverso la partecipazione a tavoli di lavoro nazionali ed europei e l’organizzazione di seminari, eventi, incontri e videoconferenze, una corretta informazione e azioni di sensibilizzazione.
«Grazie alle nostre attività e a nuovi strumenti di comunicazione vogliamo far aumentare la comprensione di queste patologie, facendo luce sui bisogni, spesso ancora irrisolti, di chi ne è affetto. Per questo aderiamo sempre alla Settimana Mondiale delle Malattie Mitocondriali, che quest’anno inizia il 13 settembre, giorno in cui i monumenti di tutto il mondo si illumineranno di verde, e culmina, per la prima volta, con la Giornata Mondiale della neuropatia ottica ereditaria di Leber, che si celebra il 19. In quest’ultima occasione lanceremo un documento (vedi qui sotto), redatto da un gruppo di rappresentanti di pazienti con Lhon di Italia, Spagna, Portogallo, Svezia, Norvegia, Germania, Paesi Bassi, Canada e anche Stati Uniti, per fare ulteriore chiarezza su questa malattia rara, indagarne l’impatto sulla qualità della vita e porre l’attenzione sulle criticità esistenti sui percorsi diagnostico-terapeutici e assistenziali» conferma Morandi Treu.
L’Associazione come punto di riferimento per fornire supporto psicologico
Negli anni l’Associazione è diventata un punto di riferimento in Italia per i pazienti mitocondriali, certo, ma anche per le loro famiglie e i caregiver in cerca di conforto e supporto psicologico. «Da paziente rara posso confermare che trovare qualcuno con la stessa malattia, con cui aprirsi e confrontarsi, è una delle cose più belle che possano capitare dopo aver ricevuto la “batosta” della diagnosi. Mitocon è riuscita perfettamente nell’intento di creare un network che unisce e riunisce chi si ritrova a fare i conti, direttamente o indirettamente, con una patologia mitocondriale, quasi sempre sconosciuta e priva di cura» spiega Moranti Treu.
«Nel caso specifico della Lhon, sapere di non poter più vedere come prima e abituarsi a questa nuova condizione è una vera e propria tortura, che spesso può portare anche a stati depressivi. Poter contare su un gruppo di persone, come quello messo in piedi dall’Associazione, in grado di capire, ascoltare e consigliare è fondamentale per il proprio benessere psico-fisico. E per implementare questo servizio, Mitocon, UNIAMO – Federazione Italiana Malattie Rare Onlus e altre associazioni di pazienti hanno dato vita a IntegRARE, un progetto di ascolto e sostegno psicologico destinato ai malati rari e a chi se ne prende cura. Il confronto, come dico spesso, fa sentire meno “strani” e abbandonati» continua la paziente.
Non esiste malattia rara senza ricerca scientifica
Infine, non si può parlare di malattie rare senza fare alcun cenno alla ricerca scientifica, l’unica in grado di dare speranza a questi pazienti. «Mitocon è molto attiva anche da questo punto di vista perché sostiene sia la ricerca di base, per migliorare la comprensione del funzionamento dei mitocondri, sia quella applicata, per poter trovare nuove e promettenti terapie. Non a caso l’Associazione ha creato una rete, alla quale aderiscono i maggiori centri di riferimento italiani, in modo che tutti possano “unire le forze”, condividere spunti e migliorare sinergicamente l’approccio verso queste patologie. E per fare il punto della situazione, ogni anno Mitocon organizza il Convegno nazionale sulle malattie mitocondriali, che è un appuntamento importante per i pazienti e le loro famiglie ma soprattutto per quegli specialisti che danno anima e corpo per questi malati e per fare ricerca» conclude Morandi Treu.
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