Come ritornare in aula senza rischi al tempo del Covid-19 è il grande tema della stagione scolastica 2020/21. Un dibattito che coinvolge politici, amministratori locali, scienziati, insegnanti, sindacati, studenti e famiglie e che ha l’indubbio merito di focalizzare l’attenzione sulla sicurezza in classe, una questione da decenni assai trascurata.
«Attenzione, però», avverte Alessandro Miani, presidente della Società Italiana di Medicina Ambientale (SIMA), «perché, se da un lato l’attuale dibattito è interamente incentrato sul nuovo coronavirus, dall’altro, in realtà, il SARS-CoV-2 è solamente l’ultimo in ordine di tempo dei “nemici” che possono annidarsi entro le aule e minare la salute di alunni, insegnanti e personale scolastico. Agenti inquinanti biologici, chimici e fisici trovano terreno fertile – e non certo da oggi – nell’aria di questi ambienti indoor ristretti, spesso datati e densamente popolati, in cui si trascorrono fino a otto ore al giorno. Sovraffollamento e carente manutenzione degli edifici sono, infatti, legati a un maggior rischio di contrarre malattie. E i bambini sono le “vittime” ideali, perché rispetto agli adulti hanno un sistema immunitario immaturo, una maggiore frequenza respiratoria e un minore peso corporeo».
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Con la CO2 cala l’apprendimento e sale il malessere
Le cosiddette classi pollaio, spiega Gianluigi De Gennaro, docente di chimica dell’ambiente del dipartimento di biologia dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, possono, infatti, trasformarsi in «camere stagne» in cui imperano diversi tipi di contaminanti, che si originano sia all’interno sia all’esterno dell’aula. «Il numero di studenti è direttamente e significativamente associato all’aumento fino al 25% della concentrazione di anidride carbonica (CO2)», sottolinea Prisco Piscitelli, vicepresidente SIMA ed epidemiologo dell’Istituto Scientifico Biomedico Euro Mediterraneo (Isbem).
«Tenete presente che la normale respirazione di un bambino di 7-9 anni ne genera 14 litri all’ora, quella di un adolescente quasi 30. Gli standard internazionali hanno stabilito una soglia di tollerabilità di CO2 fino a 1.500 parti per milione (ppm), cioè su un milione di particelle d’aria la massima concentrazione di molecole di anidride carbonica deve essere di 1.500. Limite che, però, varia da età a età, scendendo anche a 1.000 ppm e il cui superamento porta all’insorgenza di disturbi spesso misconosciuti come origine, ma che sono ben presenti nelle nostre classi: mal di testa, nausee, tachicardie, vomito, sudorazione, disturbi visivi e della memoria, rash cutanei (cambiamenti del colore e dell’aspetto della pelle associato a un’irritazione o un rigonfiamento della pelle), in certi casi anche attacchi di panico».
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Una recente ricerca coordinata dalla statunitense University of Colorado Boulder, pubblicata su GeoHealth, ha, inoltre, confermato che alti livelli di anidride carbonica possono avere impatti negativi sulle capacità di apprendimento dei bambini, dimostrando che il problema non può essere risolto aprendo semplicemente le finestre dell’aula. «La CO2», conferma Piscitelli, «può provenire anche dall’esterno della scuola, essendo ampiamente prodotta dalla combustione dei fossili, dal traffico stradale e da altre attività antropiche, responsabili anche di emissioni di NO2 (biossido di azoto) e idrocarburi policiclici aromatici, come il benzopirene.
Tutte sostanze che possono creare problemi respiratori nei bambini a scuola, esacerbare attacchi asmatici o aumentare la suscettibilità a infezioni virali, come il Covid-19». E, appunto, rallentare lo sviluppo cognitivo, come evidenziato da uno studio del Centro di Ricerca in Epidemiologia Ambientale (Creal) di Barcellona, in Spagna, pubblicato nel 2015 su PloS Medicine e condotto su bambini tra i 7 e 10 anni che frequentano scuole esposte ad alti livelli d’inquinamento ambientale da traffico.
Affaticati e disattenti: colpa di VOC e polveri sottili
Altre fonti di pericolo sono i composti organici volatili (VOC), come formaldeide, toluene o benzene, che possono essere rilasciati da vernici, arredi, materiali da costruzione, detergenti, abbigliamento, oggetti per le esercitazioni tipo i pastelli. «Possono avere effetti sulla salute già a concentrazioni molto basse, inferiori a tre microgrammi per metro cubo», evidenzia il professor Miani, «e causare mal di testa, vertigini, allergie, irritazioni a naso, gola e occhi, affaticamento e quel deficit di attenzione che ritroviamo anche associato a elevate concentrazioni di PM2.5 e PM10, influenzate non solo dal sovraffollamento delle classi ma anche da fattori ambientali antropici esterni quali il solito traffico veicolare. Lo studio Sinphonie della Commissione Europea, per esempio, ha valutato 114 scuole primarie e 5.575 studenti di 23 Paesi europei riscontrando che l’85% dei bambini era esposto a valori di PM2.5 e PM10 più alti di quelli considerati sicuri dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)».
Con il coronavirus un metro di distanziamento potrebbe non bastare
Le aule sovraffollate ovviamente favoriscono anche la diffusione di batteri e virus, come, appunto, il SARS-CoV-2. De Gennaro è tra i 239 scienziati di tutto il mondo che hanno firmato una una lettera aperta all’OMS nella quale si sostiene come il contagio del nuovo coronavirus possa avvenire negli ambienti chiusi «non solo attraverso le goccioline infette di quando si tossisce o starnutisce (droplets), ma anche mediante particelle più piccole esalate quando parliamo o respiriamo (aerosol). Questo implica che un metro di distanziamento fra le rime buccali degli alunni, cioè da bocca a bocca, potrebbe non essere sufficiente: non esiste il numero magico come qualcuno ci vuole continuamente far credere, ma ci sono scenari di rischi, dovuti anche al numero di persone eventualmente contagiate all’interno dell’ambiente indoor».
Virus e batteri circolano da sempre tra i banchi
Il problema della contaminazione da virus e batteri, però, precisa Francesca Sisto, docente di microbiologia presso il Dipartimento di scienze biomediche, chirurgiche e odontoiatriche dell’Università degli Studi di Milano, «esiste da sempre a scuola e non solo con la pandemia in corso. Gli studenti, infatti, rappresentano una categoria particolarmente a rischio, per via del fatto che vivono in comunità e della loro giovane età». Diversi i microrganismi che possono circolare tra i banchi:
➜ gli stagionali, come quelli di raffreddore e influenza (in età scolare il rischio maggiore è dato dal fatto che, poi, il bambino contagi i parenti anziani);
➜ quelli che causano le malattie esantematiche, come rosolia, varicella, morbillo;
➜ i meningococchi, batteri responsabili della meningite, una malattia che colpisce in modo particolare le fasce d’età giovanili
fino ai 19-20 anni;
➜ diversi tipi di virus erpetici e respiratori e altri ceppi di coronavirus.
Edifici vecchi e scarsa manutenzione: è allarme radon e amianto
Legati all’edilizia e alla manutenzione scolastica sono, invece, altri due inquinanti potenzialmente letali: il radon e l’amianto. Il primo è un gas inerte prodotto del decadimento nucleare del radio all’interno della catena di decadimento dell’uranio: presente in quantità variabili soprattutto nel terreno e nelle rocce, è il contaminante radioattivo più pericoloso al mondo negli ambienti chiusi e costituisce, dopo il fumo di sigaretta, il principale fattore di rischio per il tumore polmonare. «Considerando anche il tempo sempre maggiore che i ragazzi trascorrono in aula, a rischio sono soprattutto le scuole al pianterreno di strutture datate», chiarisce De Gennaro. «Crepe o piccoli smottamenti all’interno dell’edificio creano, infatti, canali preferenziali per il radon, che proviene, appunto, dal sottosuolo».
L’anagrafe dell’edilizia scolastica, del resto, è impietosa: gli oltre 40mila edifici italiani hanno un’età media di 52 anni e in due casi su tre sono stati costruiti più di 40 anni fa. E l’amianto, al quale sono collegate diverse patologie a partire dal mesotelioma pleurico, è stato messo al bando solo 28 anni fa, nel 1992. «È stato calcolato», il monito lanciato già alla fine dello scorso anno il monito lanciato da Vincenzo Giovine, vicepresidente del Consiglio Nazionale dei Geologi, «che in Italia ci sono 2.400 scuole che sono ancora a rischio amianto o comunque limitrofe a impianti ex industriali dove è presente l’amianto. Questo vuol dire che 50mila docenti e 350mila studenti sono in pericolo».
Temperatura e umidità vanno tenuti sotto controllo
Insomma, il discorso sul rientro nelle aule in sicurezza non può esaurirsi solo nel tentativo di contenere il nuovo coronavirus, ma con le misure anti-Covid si ha l’occasione di dare vita a interventi che riguardino la salute a 360 gradi della popolazione scolastica. «I parametri che rendono il microclima dell’aula salubre sono tre: ventilazione, temperatura e tasso di umidità», detta la linea Piscitelli per conto di SIMA. «In ogni singola aula la temperatura va regolata attraverso l’installazione dei termostati e i sistemi di riscaldamento vanno posizionati lontano dagli studenti, in quanto possono produrre monossido di carbonio. Il tasso di umidità va, invece, contenuto tra 45 e 55%, per evitare aria secca o all’opposto iperumida, eventualmente con l’installazione di deumidificatori legati a filtri purificatori».
La ventilazione meccanica controllata per purificare l’aria (e migliorare i voti)
Esistono, inoltre, dispositivi di monitoraggio che permettono di capire quando in un ambiente chiuso vi sia un aumento della concentrazione di particolato o di anidride carbonica, così da poter intervenire con un’adeguata ventilazione. Che vuol dire perlomeno aprire finestre e porte per un ricambio d’aria tra il termine di una lezione e l’altra, anche se tale azione diventa controproducente nel caso di edifici situati lungo vie trafficate o nelle vicinanze di zone industriali (paradigmatico il caso dei plessi scolastici adiacienti l’Ilva a Taranto) o di aree in cui si pratica l’agricoltura intensiva. Allora viene in aiuto la
tecnologia. «Oggi», assicura De Gennaro, «ci sono ottimi impianti di ventilazione meccanica controllata (VMC) che non sono solo sistemi di ricircolo dell’aria, come nel caso dei condizionatori, ma che danno la possibilità di diluire tutti gli inquinanti a qualunque categoria questi appartengano».
A scendere nel dettaglio sulle tre funzioni della VMC è Luciano Dalla Via, amministratore unico del Gruppo Alpac, la cui società Helty è specializzata nella produzione di tali sistemi: «Innanzitutto estrae l’aria viziata carica d’inquinanti all’interno dei locali chiusi. Quindi importa aria nuova e purificata, carica di ossigeno, e, infine, recupera l’82% del calore dal flusso d’aria in uscita, che, aprendo le finestre, andrebbe perso. Un modo, questo, anche per attenuare l’impatto da stress termico per chi è all’interno della stanza, evitando problemi di malanni per sbalzi tra freddo e caldo». Helty, tra l’altro, ha creato una macchina appositamente pensata per gli edifici scolastici, Flow 800, la quale può integrare una lampada UV-C schermata, così da sfruttare il potere germicida e sterilizzante della luce ultravioletta a lunghezza d’onda corta, evitando contemporaneamente l’esposizione diretta dell’utente con le emissioni luminose.
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Un tema quanto mai attuale con il Covid-19, considerato lo studio sperimentale multidisciplinare italiano condotto da Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), Università degli Studi, Istituto nazionale tumori e IRCCS Fondazione Don Gnocchi di Milano, secondo cui la radiazione UV-C ha un’ottima efficacia nel neutralizzare il nuovo coronavirus. «AiCARR, l’Associazione Italia Condizionamento dell’Aria, Riscaldamento e Refrigerazione», sottolinea, infatti, Dalla Via, «ha stimato per un’aula che usi una VMC con adeguato tasso di ricambio d’aria un’incidenza di rischio teorica inferiore dell’80% di contaminazione da Covid-19 rispetto a quella di una classe priva di tale tecnologia e in cui non si aprano le finestre con cadenza minima di 15 minuti ogni ora».
Facile e rapida anche l’installazione – occorre praticare solamente due fori dal diametro di 25 centimetri l’uno senza l’aggravio di lavori di progettazione e di messa in posa di tubazioni e canalizzazioni – e la decentralizzazione del sistema permette di mettere in sicurezza gli ambienti effettivamente usati con una modulabilità del consumo energetico.
Una ventilazione adeguata, del resto, protegge non solo la salute ma migliora la resa degli studenti. «Uno studio realizzato negli Stati Uniti e pubblicato su PloS One nel 2015», ricorda Paola Fermo, professore associato di chimica dell’ambiente dell’Università degli Studi di Milano, «ha dimostrato che la percentuale di ventilazione nelle classi è direttamente associata ai risultati scolastici degli allievi. I ricercatori, attraverso test standardizzati, hanno registrato progressi nei compiti di matematica e nel componimento di testi semplicemente migliorando la qualità dell’aria nelle aule. Un risultato confermato da diversi altri studi in Gran Bretagna, Scozia, Germania, Austria e Portogallo».
Anche le piante mangiano i veleni
Un’ottima idea per depurare l’aria è, poi, il ricorso alle piante, sia dentro sia fuori l’edificio scolastico. «Alcune specie sono veri mangia-veleni e la scienza ne consiglia una, anche di piccole dimensioni, ogni dieci metri quadrati», spiega Miani. «Le migliori sono la sansevieria, lo spatifillo, il ficus benjamin, la dracena (il tronchetto della felicità), la palma da datteri nana, l’edera, l’anturio e la felce di Boston. E all’esterno alberi e siepi sono in grado di migliorare il microclima e ridurre l’uso dei combustibili fossili di circa 18 chili all’anno per ciascun albero. Secondo gli studi dell’Istituto di biometeorologia del CNR di Bologna, il bagolaro ha le migliori prestazioni contro le polveri sottili assieme a olmo, ippocastano e acero; il tiglio selvatico, il biancospino e il frassino sono i più efficaci per assorbire l’anidride carbonica, mentre l’eleagno, ligustro e viburno lucido accumulano bene il piombo nelle foglie».
Pulizie al mattino, prima dell’ingresso degli alunni
Vi sono, poi, accorgimenti necessari che, messi in atto, evitano la concentrazione di determinati inquinanti. «Per esempio», elenca Piscitelli, «occorre prestare attenzione ai prodotti con cui si cura l’igiene personale degli alunni, agli arredi delle aule e ai materiali scolastici utilizzati, a partire dai pastelli, per evitare che si liberino VOC. Altrettanto da valutare sono i detergenti con i quali si puliscono le aule e gli stessi orari in cui la pulizia avviene: l’ideale sarebbe al mattino prima dell’inizio delle lezioni, assicurandosi, tuttavia, che ci sia un’adeguata ventilazione prima dell’ingresso degli alunni».
Mai più classi pollaio
Di pari passo con le menzionate misure per elevare la qualità dell’aria va la riduzione del numero di alunni per classe, promessa dall’attuale ministro dell’Istruzione, Lucia Azzolina. «Il vecchio limite di 27-30 alunni è inaccettabile», attacca Miani, «così come i 24-26 studenti che rappresentano la normalità per le scuole del Centro-Sud. Ben venga lo sdoppiamento di queste classi, ma deve essere messo in atto con un criterio di uniformità, che non sia lasciato a discrezionalità dei territori e dei singoli istituti». A livello nazionale la numerosità media di una classe di scuola primaria è di 19 alunni (con l’8% sopra 24), alle medie di 21 (con il 14% sopra 24), alle superiori di 22 (con il 17% sopra 24, che sale al 38% per le prime classi).
Le norme in vigore dal 1975 prevedono che la superficie netta per studente vari dagli 1,80 metri quadrati dalle materne alle medie fino agli 1,96 per le superiori, valore che, però, è meramente indicativo, perché, come sopra visto, molti edifici sono stati costruiti ben prima – e spesso con criteri più angusti – di questa data. La Fondazione Agnelli ha stimato che per ristrutturare e rinnovare i 40mila edifici scolastici oggi attivi servirebbero 200 miliardi di euro, una ristrutturazione, tuttavia, necessaria anche in chiave radon e amianto, per cui occorrono programmi di monitoraggio.
I vaccini arma fondamentale, ma quando il bimbo è malato non deve andare a scuola
Ventilazione e classi «sostenibili» sono anche misure necessarie per contenere la carica microbica nell’ambiente, una problematica che è alla base delle vaccinazioni rese obbligatorie per legge. «I casi di morbillo», fa notare Francesca Sisto, «hanno registrato alti picchi di frequenza in un recente passato proprio perché non c’era stata un’adeguata immunizzazione, che è un modo per salvaguardare la salute anche di chi non si può vaccinare, come gli allievi con immunodeficienza o immunocompromissione. Per il resto, le norme igieniche e di contenimento vanno mantenute a prescindere dal nuovo coronavirus, a partire dalla disinfezione delle aule. Si potrebbe insegnare agli stessi ragazzi a sanificare prima e dopo la lezione i loro banchi, su cui si posano le goccioline di Flügge emesse parlando, mettendo a loro disposizione panni e prodotti igienizzanti».
Perché bisogna imparare a convivere con i microrganismi, apparsi sulla Terra molto prima dell’uomo, e la convivenza deve essere insegnata a scuola fin da bambini, «magari sotto forma di gioco». Ma anche le famiglie non sono esenti da responsabilità in tema di prevenzione, anzi: «Soprattutto bisogna far capire ai genitori che non si mandano a scuola i figli quando sono malati».
Mascherine anti-covid sì, almeno all’inizio
Nel caso specifico del SARS-CoV-2, infine, l’utilizzo o meno della mascherina in classe divide anche gli esperti. Per De Gennaro è importante l’uso delle mascherine FFP o N95, certificate per riuscire a filtrare almeno il 95% delle particelle sospese nell’aria, «per proteggere gli altri e se stessi. Questo senza escludere altre modalità tecnologicamente più avanzate – per esempio, i caschi ventilati – ma anche soluzioni meno sofisticate, quali foulard o sciarpe, perché già il fatto di riuscire a contenere un po’ il virus è meglio che niente. Nel caso degli studenti più piccoli si potrà far passare come un gioco l’indossare tali protezioni».
Francesca Sisto è più dubbiosa: «Si tratta di una decisione non facile da prendere, in quanto questo tipo d’infezione non è così diffusa tra i bambini. Per scopi precauzionali e preventivi in previsione dell’autunno si potrebbe ricorrere alla semplice mascherina chirurgica, che sostituisce, per esempio, le mani mentre il bambino tossisce o starnutisce. Ma deve trattarsi di una misura limitata all’emergenza». Insomma, meglio ritornare in classe con qualche dispositivo di protezione, poi si deciderà in base all’arrivo o meno della seconda ondata di Covid-19.
SIMA con Unesco: a scuola s’insegni la prevenzione sin dalla primaria
Non solo italiano e matematica, storia e geografia. A scuola si devono anche studiare le tecniche per restare in salute, ovvero gli stili di vita corretti. «Nel futuro non avremo la possibilità di curare tutti, per questo occorre investire immediatamente tra le giovani generazioni sulla cultura della prevenzione, intesa come il mettere in atto tutte le misure che possono garantire una buona salute il più a lungo possibile». A spiegarlo è Annamaria Colao, titolare della cattedra Unesco all’educazione alla salute e allo sviluppo sostenibile dell’Università degli studi Federico II di Napoli, che con SIMA ha redatto le proposte per la scuola post-Covid. Firmato anche da Prisco Piscitelli, Manuela Pulimeno, Salvatore Colazzo, Alessandro Miani e Stefania Giannini, vicedirettrice dell’Unesco e già ministro dell’Istruzione, il documento è stato pubblicato da The Lancet Public Health, una delle riviste scientifiche più autorevoli del mondo, e rappresenta un invito a fare della sospensione delle lezioni in aula causata dalla pandemia un’occasione per ripensare il ruolo sociale della scuola. Compresa la missione, prosegue Annamaria Colao, di «incentivare la consapevolezza dei cittadini verso la prevenzione, necessaria per rendere il sistema sanitario sostenibile. Ricordiamoci che, se si aspetta di ammalarsi per risolvere il problema, esistono due grandi punti interrogativi: se, poi, il problema in questione, si è davvero in grado di risolverlo e quante risorse occorrono a tal fine».
Ricadute positive su tutta la società
Una cultura della salute, interviene Alessandro Miani, presidente SIMA, che sarà «in grado di influire non solo sui comportamenti degli studenti, ma anche sulle loro famiglie e comunità, nella prospettiva di un futuro sostenibile. L’educazione alla salute così come quella ambientale dovrebbero essere integrate nei curricula scolastici all’interno di materie scientifiche o affrontate separatamente come materie extracurricolari». «Gli insegnanti», gli fa eco l’epidemiologo Prisco Piscitelli, vicepresidente SIMA, «attraverso un’adeguata formazione devono diventare promotori di salute attraverso tecniche didattiche con le quali catturare l’attenzione e motivare gli studenti». Quanto investito ora in educazione a una vita sana, pensando anche ai fondi in arrivo dall’Unione Europea, verrà risparmiato in futuro in termini di costi del servizio sanitario.
I quattro pilastri
La prevenzione, avverte Annamaria Colao, vincitrice del Geoffrey Harris Award 2020 per il miglior neuroendocrinologo d’Europa, «non va confusa con le visite mediche e le analisi, i cosiddetti screening, fondamentali atti medici che, però, vengono dopo», bensì si basa su quattro pilastri che sorreggono il corretto stile di vita. E che vanno insegnati agli studenti «fin dalla scuola primaria».
● L’alimentazione. La scuola è stata oggetto di diversi finanziamenti per l’insegnamento della corretta nutrizione, come il progetto Ok Salute lanciato anni fa dal ministero dell’Istruzione, «ma bisogna spingere di più dal punto di vista pratico», insiste l’endocrinologa. «Se accanto ai distributori di cibi sani si mettono quelli con snack ipercalorici, non si può pensare che tutti gli allievi siano così “eroici” da preferire una mela alla merendina da 500 calorie. Tra l’altro gli alimenti sani sono generalmente anche freschi, dai brevi tempi di conservazione e, quindi, dall’alto costo del non consumato».
● L’attività fisica. «Nonostante le valenze educative pregevoli, lo stesso progetto Ok Salute non è riuscito a ridurre l’elevato tasso di obesità infanto-giovanile in Italia», sottolinea Annamaria Colao. «Perciò è necessario incentivare l’esercizio fisico a scuola, con un’ora obbligatoria ogni giorno, perché il nostro corpo è come un’auto: se la si lascia inattiva per lungo tempo in garage, poi non è detto che, una volta rimessa in moto, funzioni subito bene. I bambini oggi hanno una forte perdita di consapevolezza della loro fisicità, perché fin da piccolissimi stanno seduti a giocare con smartphone e tablet». Non a caso ci sono studi che hanno rilevato come i ragazzi non sappiano più fare la capriola o andare in bicicletta.
● Il rispetto dei bioritmi. Di notte si dorme e di giorno si sta svegli, nel pieno rispetto delle luci naturali. «Oggi, invece», segnala la docente napoletana, «i ragazzini attraverso i mezzi di comunicazione smart hanno creato una piazza virtuale in cui si “incontrano” di notte, un fenomeno intensificatosi soprattutto durante il lockdown. Quindi, di giorno, di fatto dormono. Ma un comportamento del genere altera tutta la fisiopatologia degli organi, in quanto la notte è il momento in cui, in assenza dell’arrivo di composti energetici (il cibo), le cellule si rigenerano automaticamente. Pertanto abbiamo bisogno di trascorrere almeno dieci ore consecutive senza mangiare, non cenando mai troppo tardi: soprattutto i ragazzi devono aver consumato il pasto serale al massimo entro le 20, così di poter fare colazione alle 8 del mattino successivo».
● Il non abuso di sostanze tossiche, intendendo con queste fumo, alcol, droghe sintetiche, farmaci, psicofarmaci, ma anche farmaci. «Ci sono giovani sotto i 18 anni», conclude Annamaria Colao, «che, per esempio, fanno uso di medicinali per potenziare l’erezione. Bisogna portare nelle aule la formazione al rispetto del corpo umano e dell’individuo in senso lato, così da avere cittadini giovani più informati e con un maggiore rispetto anche della natura e dell’ambiente. Questo darà vita a una società in condizioni cliniche migliori».
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