Con il termine protoporfiria eritropoietica (Epp) ci si riferisce a una rara malattia ereditaria contraddistinta da ipersensibilità alla luce solare. Si stima che la prevalenza mondiale si aggiri tra 1/75.000 e 1/200.000. Maria Domenica Cappellini, professore ordinario di medicina interna all’Università degli Studi e direttore del dipartimento di medicina interna alla Fondazione Ca’ Granda Policlinico di Milano, spiega meglio di cosa si tratta.
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Quali sono le cause della protoporfiria eritropoietica?
La protoporfiria eritropoietica origina da un gruppo di mutazioni genetiche a danno del gene FECH. Questo è correlato alla sintesi dell’enzima ferrochelatasi, un importante tassello nella cascata di sintesi del gruppo eme. Questo provoca un accumulo del precursore dell’eme protoporfirina nel midollo osseo, negli eritrociti, nel plasma, nel fegato e nella pelle. In tal modo, quando la persona malata di Epp si espone al sole, l’attivazione delle molecole di protoporfirina causa danni tissutali e dolore. La Epp è una patologia autosomica dominante, ma ne esiste una variante a ereditarietà autosomica recessiva e, in una piccola percentuale di pazienti, è stata descritta una variante legata al cromosoma X.
Quali sono i sintomi?
La sintomatologia legata a questa patologia esordisce generalmente nella prima infanzia, subito dopo la prima esposizione alla luce del sole. I pazienti affetti da protoporfiria eritropoietica, infatti, possono sviluppare eritemi cutanei e avvertire forti dolori e una sensazione di bruciore in associazione alla comparsa di petecchie e tumefazioni della pelle. Una delle particolarità della malattia è data dal fatto che edemi, bruciore e prurito non sono accompagnati dalla presenza di vesciche, rendendo più difficile la corretta identificazione della malattia. Anche l’anamnesi risulta più complessa, visto che i soggetti affetti sono quasi totalmente bambini e la malattia può spesso essere confusa con reazione fototossiche da farmaco, dermatite da contatto o orticaria solare. Tra gli altri sintomi figurano anche le coliche biliari, che comportano forte dolore addominale e danni a livello epatico, che possono condurre, nel tempo, a insufficienza epatica cronica associata a ittero e splenomegalia (aumento patologico di volume della milza).
Come si diagnostica la protoporfiria eritropoietica?
La diagnosi si effettua analizzando i livelli di protoporfirina nel sangue e studiando l’attività della ferrochelatasi. Una volta individuata la malattia è importante valutare il grado di coinvolgimento epatico. Successivamente si procede con le analisi genetiche da estendere anche agli altri membri della famiglia.
Quali sono le terapie disponibili?
Le persone colpite da protoporfiria eritropoietica devono aver cura di evitare o limitare il più possibile l’esposizione al sole. Possono ricorrere a cappelli o protezioni solari contenenti biossido di titanio o ossido di zinco. È essenziale ridurre il coinvolgimento epatico, con esami di follow-up regolari. Nei casi più gravi può essere suggerito il trapianto di fegato e, in caso di insorgenza di calcoli biliari, può rendersi necessaria l’asportazione della colecisti. Di recente, è stato approvato un nuovo farmaco per il trattamento della Epp: si tratta dell’afamelanotide che riduce sensibilmente la gravità delle reazioni fototossiche.
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