Salute

Covid: mai riusare le mascherine chirurgiche

L'Istituto Superiore di Sanità in un'audizione in parlamento avverte sul pericolo di utilizzare più volte questi dispositivi. Poi spiega: "Altamente improbabile il contagio dal cibo e dalle confezioni degli alimenti"

Le mascherine chirurgiche non sono riutilizzabili. La loro efficacia dura dalle due alle sei ore massimo a seconda dei casi. Non esistono allo stato attuali sistemi per igienizzarle e poterle indossare nuovamente. Silvio Brusaferro, presidente dell’Istituto superiore di sanità, in audizione alla Commissione d’Inchiesta parlamentare sulle Eco Mafie, torna sulla questione del riutilizzo che in molti erroneamente fanno delle mascherine chirurgiche. Continuare a utilizzarle è però fondamentale. Una recente analisi di decine di studi sull’argomento ha confermato che bloccano la diffusione del coronavirus in oltre l’80% dei casi.

Mascherine chirurgiche: preferire quelle in tessuto lavabile che hanno un minore impatto sull’ambiente

Esistono, sempre secondo Brusaferro, altre mascherine lavabili che hanno la stessa efficacia e possono essere riutilizzate. Secondo il presidente dell’Iss dovrebbero essere queste a essere preferite per evitare l’impatto sui rifiuti e quindi sull’ambiente.

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Mascherine chirurgiche: trovate tracce di virus per una settimana

Riutilizzare le mascherine chirurgiche potrebbe quindi essere pericoloso. Un recente studio ha dimostrato che il coronavirus può resistere su una mascherina usata fino a sette giorni. Attenzione, la ricerca è stata fatta in laboratorio, in condizioni protette, che sono diverse da quelle che viviamo tutti i giorni. Ad annunciarlo è stata Rosa Draisci, del Centro nazionale delle sostanze chimiche dell’Istituto Superiore di Sanità. “In studi di laboratorio, non nella realtà, nella parte interna della mascherina si rilevano parti di virus dopo 7 giorni – precisa l’esperta -. Si tratta di un’attività sperimentale fatta in laboratorio, con la deposizione sulla mascherina di soluzione contenente il virus”.

Nella realtà il coronavirus muore prima. I laboratori infatti sono “contesti molto protetti, non immediatamente assimilabili alla normalità”. Tutto è infatti messo al riparo dalla luce, dal sole e da altri fattori che influiscono sulla sopravvivenza del virus.

Non dimostrata la trasmissione con gli alimenti

Come ha ribadito più volte anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità non ci sono prove scientifiche che la trasmissione del coronavirus sia avvenuta consumando degli alimenti o toccando le confezioni che li contengono. Il contagio in questo modo è solo teorico e altamente improbabile. Per Brusaferro bisogna però “circoscrivere, nei limiti del possibile, il rischio introdotto dalla presenza di persone potenzialmente infette in ambienti destinati alla produzione e commercializzazione degli alimenti”.

L’Istituto Superiore di Sanità sconsiglia anche di disinfettare le strade con ipoclorito di sodio. Questa sostanza se entra in contatto con altri materiali organici depositati sul terreno, può dare origine a sostanze pericolose.

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