«Buongiorno, tra qualche ora potrebbe venirti la febbre: copriti». Al pari di una mamma un po’ apprensiva, tra qualche anno il nostro smartwatch potrebbe inviarci messaggi del genere. Se capiterà, avremo al polso un dispositivo intelligente in grado di anticiparci con precisione scientifica un malanno stagionale.
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Non è fantascienza
Secondo uno studio pubblicato su The Lancet nel 2019, l’aumento del battito cardiaco a riposo rilevato dagli orologi hi-tech potrebbe essere un campanello d’allarme per patologie simili all’influenza. Il dato, elaborato dallo Scripps Research Translational Institute, arriva da un bacino di 47 mila utenti e punta a essere rafforzato da un altro lavoro scientifico il cui obiettivo è «addestrare» gli algoritmi degli orologi di nuova generazione a riconoscere i segnali di un’infezione. È il progetto Detect, avviato in piena pandemia da coronavirus, che mira a coinvolgere chiunque disponga di un orologio per il monitoraggio di tre parametri: battito cardiaco, movimento e sonno.
Gli scienziati analizzeranno in modo retrospettivo i dati per identificare i sintomi premonitori di una malattia infettiva (influenza, raffreddore o Covid-19 che sia). Un obiettivo ambizioso, a cui si aggiunge l’ancor più ambiziosa seconda parte dello studio: inviare un segnale preventivo all’utente se l’algoritmo nota qualcosa che non va.
Elettrocardiogramma al polso
Oggi siamo ancora lontani da un alert di malattia, ma per aiutare a rallentare la pandemia alcuni smartwatch hanno già aggiornato le loro funzioni per ricordare a chi li porta di lavarsi spesso le mani e la loro evoluzione da semplici accessori di fitness a dispositivi quasi medici è sotto gli occhi di tutti. Primo perché ospedali e istituti di ricerca (come lo Scripps, appunto) si avvalgono di questi orologi per raccogliere dati attendibili sulla popolazione. Secondo perché enti regolatori come la Food and Drug Administration statunitense ne hanno riconosciuto l’affidabilità.
L’Fda circa due anni fa ha approvato la funzionalità elettrocardiogramma degli Apple Watch. Grazie a elettrodi incorporati nell’orologio, chi lo indossa in pochi secondi può ottenere un tracciato a una derivazione e la sua interpretazione: ritmo regolare, ridotto, elevato o fibrillazione atriale. C’è da fidarsi? «Direi di sì. Altrimenti la Fda non l’avrebbe mai approvato», conferma Claudio Tondo, direttore di aritmologia al Centro cardiologico IRCCS Monzino di Milano e professore di cardiologia all’Università degli Studi. «L’elettrocardiogramma che facciamo in ambulatorio ha 12 derivazioni e permette di individuare il rischio di ischemia, infarto o altre patologie cardiache. Ma per la diagnosi di un’aritmia è sufficiente quello a una derivazione».
Onda di pressione e misurazione oscillometrica
Anche i dispositivi FitBit si sono inseriti nel campo diagnostico della fibrillazione atriale. Lo fanno con l’app di monitoraggio cardiaco FibriCheck, che utilizza i sensori integrati negli smartwatch per la fotopletismografia (ossia quella tecnologia basata sulla luce per tracciare la velocità del flusso sanguigno) e rileva i battiti del cuore direttamente dal polso. Ciò che si ottiene «non è un elettrocardiogramma, ma un’onda di pressione, in grado di identificare un ritmo irregolare e quindi un’aritmia come la fibrillazione atriale», spiega Tondo.
«Informazioni sull’andamento cardiaco le forniscono anche i dispositivi che misurano la pressione, perché la misurazione oscillometrica è in grado di rilevare irregolarità ritmiche». In questo campo spicca Omron HeartGuide, che con un bracciale gonfiabile all’interno del cinturino è il primo orologio clinicamente validato per misurare i valori pressori. Una sorta di sfigmomanometro in miniatura che aiuta a monitorare l’ipertensione e a tenere sotto controllo la salute cardiaca.
Indossati da un italiano su quattro
Le persone che utilizzano device indossabili come gli smartwatch sono in aumento. Secondo la Global Mobile Consumer Survey 2019 li indossa il 26% degli italiani. Non un dato da capogiro, ma in crescita e legato alla capillarità degli smartphone, che possiede il 93% dei connazionali. Questa diffusione può cambiare il rapporto medico-paziente? Uno studio di revisione sui dispositivi wearable pubblicato a settembre 2019 su Annals of Translation Medicine sostiene che possono essere utilizzati come metodi non invasivi di monitoraggio cardiaco ed essere di supporto alle valutazioni ambulatoriali.
Possono aiutare nella prevenzione
«Non è raro prescrivere dei controlli a casa. Se il paziente è dotato di smartwatch con una di queste funzionalità, può essere più pratico, anche per l’opportunità di condivisione», continua l’esperto del Monzino. «La capacità diagnostica non va al di là della fibrillazione atriale. Ma in mano agli specialisti i dati raccolti dai device da polso possono essere utili per individuare altre aritmie, come ad esempio un’extrasistolia». Definirli o meno alla stregua di dispositivi medici è forse prematuro, di sicuro possono essere visti come strumenti di prevenzione, utili per aprire la strada a un’indagine clinica e diagnostica più approfondita.
Prendiamo la fibrillazione atriale. «È l’aritmia più comune nella popolazione, un campanello d’allarme del rischio tromboembolico, la cui diagnosi è indispensabile per fare prevenzione», sottolinea il cardiologo. «Ma, se in alcuni pazienti si individua facilmente perché arrivano in ambulatorio con palpitazioni e mancanza di fiato, in altri i sintomi sono assenti e la diagnosi tarda. In questo senso gli smartwatch possono aiutarci».
In uno studio uscito l’anno scorso sul New England Journal of Medicine l’Apple Watch è stato addirittura promosso a strumento di screening. Su un campione di 419 mila persone sane, le allerte segnalate dall’orologio, dopo un controllo medico e tecnico, si sono rivelate corrette nell’84% dei casi.
Utilizzati in medicina del sonno
Sul supporto che un orologio di nuova generazione può dare allo specialista è d’accordo anche Carolina Lombardi, responsabile del Centro di medicina del sonno all’Istituto Auxologico Italiano di Milano. Seppur con una grande differenza. Per quanto riguarda la capacità diagnostica, nell’ambito della medicina del sonno gli smartwatch rivestono un ruolo parziale. «Questi dispositivi percepiscono l’alternanza delle fasi del sonno basandosi sul battito cardiaco e in parte sul grado di attività motoria. Ma la distinzione che fanno tra sonno Rem, non Rem, leggero, profondo e veglia non è del tutto precisa», sottolinea Lombardi.
«Ciò non toglie che possano essere utili nella fase di identificazione di un problema. Soprattutto se i dati sono associati a una percezione individuale di disagio, oppure nella fase di monitoraggio di una terapia o di un percorso riabilitativo perché ci aiutano a verificare l’aderenza a uno stile di vita».
I rischi? Di generare ansia
Il controllo continuo di battito cardiaco, passi, attività fisica e ore di sonno secondo alcuni studi può però alimentare insicurezze e ansie. Oltre che costi sanitari ingiustificati causati da visite e controlli non necessari. È un rischio che si corre. Come quello di «vedersi la casella della posta elettronica invasa da elettrocardiogrammi e valori pressori condivisi dai pazienti», riprende Tondo. «Per questo è importante stabilire degli equilibri. Insegnare al paziente come interpretare i dati e spiegargli di inviare materiale solo quando si rende conto che c’è qualcosa che non va».
Da non trascurare anche il limite anagrafico. I pazienti più a rischio in teoria sono anche quelli che, essendo più anziani, non hanno familiarità con questi dispositivi. Ma in fondo si parla di uno strumento in più, non dell’unico strumento diagnostico a disposizione. E a guardar bene, i giovani che indossano oggi questi orologi intelligenti saranno gli anziani di domani. E «gli smartwatch, come tutti gli altri dispositivi di telemedicina», conclude Tondo, «sono il nostro futuro».