Le evidenze scientifiche disponibili finora indicano che l’infezione Covid-19 si manifesta nel bambino con un andamento clinico più benevolo rispetto all’adulto. Stando a quanto riporta l’Istituto Superiore di Sanità, infatti, i pazienti in età pediatrica hanno in generale una prognosi migliore, tanto che la letalità di Sars-CoV-2 rappresenta solo lo 0,06% nella fascia di età compresa tra 0 e 15 anni. Alcune pubblicazioni italiane, inglesi e statunitensi, però, riferiscono di un anomalo aumento di casi di bambini e ragazzi con una sindrome infiammatoria acuta multisistemica, insorta dopo aver contratto il coronavirus. Questa condizione è stata descritta come «Kawasaki-like disease», cioè letteralmente «simile alla malattia di Kawasaki». Questa patologia multisistemica, infatti, ha delle caratteristiche affini a quelle della malattia di Kawasaki ma al contempo, secondo le indicazioni dell’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) e della World Health Organization (WHO), va differenziata da essa.
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Cos’è la malattia di Kawasaki
«La malattia di Kawasaki è una vasculite sistemica, cioè un’infiammazione acuta dei vasi sanguigni dell’organismo» interviene Susanna Esposito, Presidente dell’Associazione Mondiale per le Malattie e i Disordini Immunologici (WAidid) e Professore Ordinario di Pediatria all’Università di Parma. «Colpisce prevalentemente i bambini al di sotto dei 5 anni e in genere non si manifesta dopo gli 8 anni di vita. Le cause sono tuttora sconosciute ma si ipotizza che a determinarla sia un agente infettivo» continua la professoressa.
Forma tipica, incompleta o atipica della malattia di Kawasaki: i sintomi
«In generale Kawasaki si manifesta con febbre alta, congiuntivite senza secrezione, un linfonodo latero-cervicale ingrossato, alterazioni del cavo orale con lingua “a fragola”, esantema e infiammazione delle mucose. Inoltre, a causa della vasculite si verifica un aumento marcato delle piastrine» va avanti Esposito. Quando alla febbre sono associati almeno 4 di questi disturbi, si parla di forma tipica. Se i sintomi sono solo 2 o 3 in associazione al rialzo della temperatura, la forma di Kawasaki è incompleta. Infine, c’è una forma atipica caratterizzata da febbre, vomito, diarrea, dolori addominali, otiti, epatiti, artrite e/o artralgie, meningiti asettiche.
Comunque la patologia, che è stata diagnosticata per la prima volta nel 1967 dal medico giapponese Tomisaku Kawasaki, non desta generalmente grandi preoccupazioni. Tuttavia nel 15-25% dei pazienti non sottoposti ad adeguato trattamento e nel 5% di quelli trattati correttamente ci può essere anche un coinvolgimento delle arterie coronarie. In questi casi possono insorgere dilatazione coronarica e aneurismi.
Come si cura?
«La malattia di Kawasaki viene generalmente trattata con l’infusione endovenosa di immunoglobuline ad alte dosi, che è stata associata a una riduzione del rischio di interessamento coronarico. Questa procedura va eseguita entro 7-10 giorni dall’esordio della febbre. A questo si associa un trattamento anti-infiammatorio con acido acetilsalicilico, cioè l’aspirina» continua la pediatra.
L’ISS fa chiarezza sull’argomento
Nei casi segnalati dagli specialisti italiani, inglesi e statunitensi, i sintomi riferiti dai giovani ricoverati erano grossomodo quelli caratteristici della malattia di Kawasaki. Ciò ha indotto i medici a interrogarsi sulla vicenda: si tratta davvero di questa patologia? Il Gruppo di lavoro ISS Malattie Rare COVID-19 ha pubblicato un rapporto per ribadire che questa sindrome condivide alcune caratteristiche cliniche con la malattia di Kawasaki ma che si distingue da essa per altri fattori. Vediamo quali.
Malattia di Kawasaki e sindrome infiammatoria acuta multisistemica: quali differenze
«I sintomi osservati erano simili, è vero, ma ci sono pazienti che hanno manifestato anche vomito, diarrea e dolori addominali, che sono poco frequenti nella Kawasaki. Semmai si possono associare a una forma atipica della malattia, come abbiamo visto poco fa» spiega Esposito. «Nei casi più gravi, registrati soprattutto all’estero, le complicanze della sindrome multisistemica si sono tradotte in miocarditi. Questo aspetto non è trascurabile visto che si tratta di una problematica non tipica della Kawasaki. Quest’ultima, infatti, può comportare dilatazione coronarica e aneurisma, difficilmente miocardite. Inoltre in alcuni pazienti si è riscontrata una riduzione dei livelli di piastrine, che non si verifica nella malattia di Kawasaki. In quest’ultima avviene esattamente il contrario» continua la professoressa.
Infine, altre due osservazioni. «I soggetti colpiti da questa sindrome infiammatoria multisistemica hanno un’età media di 7-8 anni, fino a coinvolgere ragazzi di 16 anni. La Kawasaki, come si è detto poco fa, insorge soprattutto nei bambini al di sotto dei 5 anni. Inoltre questi pazienti non hanno risposto subito alla terapia con immunoglobuline, che è molto efficace nella malattia di Kawasaki. Pertanto è stato necessario somministrare anche farmaci corticosteroidi, per spegnere lo stato infiammatorio, ed eparina, per evitare la formazione di trombi» conclude Esposito.
La sindrome infiammatoria acuta multisistemica è una malattia a sé
Alla luce di queste evidenze, siamo di fronte a una forma clinica che va differenziata dalla malattia di Kawasaki. Questa patologia è ancora in via di definizione. Come fa sapere Domenica Taruscio, Direttore del Centro Nazionale Malattie Rare (ISS), l’esistenza della sindrome è una realtà clinica riconosciuta. Ora è indispensabile una definizione condivisa dei criteri diagnostici. Ciò permetterà di identificare precocemente i pazienti, ricoverarli tempestivamente e avviarli al trattamento più appropriato. Questa procedura consentirà una registrazione sistematica dei casi per valutare la reale incidenza.
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