Avvolta in un’adolescenziale pigiama, Renée Zellweger, nei panni di Bridget, ingurgitava chili di gelato al cioccolato con la speranza di tamponare le ferite d’amore. La scena cult de Il diario di Bridget Jones non solo rispecchia esperienze, più o meno simili, vissute da molti di noi, ma ha anche un risvolto scientifico: era una fame nervosa, consolatoria.
«Nei momenti di frustrazione sentimentale ci rifugiamo nel cibo dolce. E non a caso», spiega Stefania Ruggeri, ricercatrice e nutrizionista del Crea. «Il cioccolato è tra i preferiti perché contiene feniletilamina. Un aminoacido prodotto anche dal nostro corpo proprio quando siamo innamorati o ci sentiamo gratificati». Speranzosi che un gelatino o qualche biscotto dopo cena risollevino l’umore dopo una giornata grigia, siamo soliti cercare quegli alimenti perché hanno il compito di soddisfare un impellente bisogno emotivo. Tristezza e malinconia aumentano il desiderio di zuccheri e derivati, mentre tensione, ansia e stress portano a consumare cibi molto salati e ricchi di grassi.
Uno studio del 2019, condotto dai ricercatori dell’Università di Ghent (Belgio) e pubblicato sullo European Journal of Nutrition, ha evidenziato che lo stress a cui sono sottoposti i ragazzi sotto esami li spinge a prediligere il cibo spazzatura. Al fine di trovare conforto e alleviare la tensione. Più gli studenti provano ansia e più sono inclini al consumo di snack ipercalorici e grassi.
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Fame nervosa: l’effetto della pandemia sulla bilancia
Gli effetti sulla bilancia non tardano a manifestarsi. Specialmente di questi tempi. L’emergenza del coronavirus e le misure adottate per contrastarlo, come l’isolamento domiciliare e il distanziamento fisico, ci hanno fatto fare i conti con un’ansia quotidiana che in molti ha scatenato una fame nervosa. Secondo un’indagine realizzata da Villa Miralago (centro per la cura dei disturbi del comportamento alimentare) e dalla School of Management del Politecnico di Milano, il 40% degli italiani ha segnalato di essere ingrassato e ha dichiarato di aver introdotto più calorie al fine di contrastare la noia e il nervosismo dovuti al lockdown.
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Il meccanismo di ricompensa
È come se alcuni cibi ci risarcissero del disagio provocato da alcuni stati d’animo. «In psicologia clinica questo fenomeno è noto infatti come meccanismo di ricompensa», afferma Gianluca Castelnuovo, professore ordinario di psicologia clinica all’Università Cattolica di Milano e psicologo presso l’IRCCS Istituto Auxologico Italiano. «È come un circolo vizioso. il cervello risponde a una serie di stimoli gratificanti (cibo, sesso, sostanze eccitanti) attraverso il rilascio di dopamina». Conosciuta anche come ormone dell’euforia, la dopamina è in realtà un mediatore chimico, un neurotrasmettitore prodotto dal cervello e legato alla sfera del piacere. Tutto ciò che provoca gratificazione e appagamento aumenta il livello di dopamina.
Difficile, allora, attenersi a una dieta sana e bilanciata, quando l’effetto di una porzione di patatine fritte sembrerebbe quello di attenuare lo stress alla fine di una massacrante giornata di lavoro. «Però, per quanto la nostra mente sia strutturata per ricercare continuamente il piacere, il cibo non può essere considerato esclusivamente come la risposta a una necessità emotiva», continua lo psicologo. La domanda più giusta da porsi sarebbe: «Sono io che controllo il cibo oppure è il cibo che controlla me?».
Fame nervosa: come una droga
Al pari di una sostanza stupefacente, snack salati e dolciumi possono renderci vittime di un meccanismo di dipendenza. In cui l’oggetto proibito, a differenza di qualunque droga, è socialmente accettato e facilmente reperibile. «Io posso raccomandare al mio paziente un cibo piuttosto che un altro ed elencare tutta una serie di conseguenze negative relative a un consumo eccessivo di alcuni alimenti. Ma, se quel paziente trova la sua unica gratificazione nel mangiare tanti cibi dolci e non riesce a capire le ragioni della sua insoddisfazione o dei suoi malesseri emotivi, non riuscirà mai a cambiare davvero la sua alimentazione e il suo stile di vita», aggiunge la nutrizionista.
Affinché un piano alimentare sia efficace, allora, è necessario stilare anche un piano emozionale. Che aiuti a liberarsi del meccanismo di ricompensa e a vivere in maniera sana il rapporto tra cibo ed emozioni. In merito a queste ultime, Castelnuovo precisa: «Pensare che si possano continuamente controllare è un’utopia. Com’è illusoria l’idea che l’uomo viva in uno stato d’animo stabile. È vero il contrario. Oscilla continuamente tra alti e bassi, il senso di sconfitta si alterna a quello di vittoria, la speranza alla negatività, il coraggio alla paura e così via». L’alternanza di stati d’animo è considerata, pertanto, normale e va tenuta presente nella dieta emozionale.
Alimentazione in fase 2: i dieci cardini
Ed eccoci al punto cruciale. La fine delle restrizioni dovute alla pandemia non deve e non può coincidere con l’inizio delle restrizioni troppo severe nell’alimentazione. Tuttavia, abbandonata la comoda tuta che ci ha accompagnato in questi mesi, dobbiamo fare i conti con i jeans che a fatica si chiudono e con una nuova quotidianità che, comunque, provocherà un senso di incertezza e instabilità. Secondo Stefania Ruggeri e Gianluca Castelnuovo i dieci cardini della fase 2 a tavola sono i seguenti.
1. Autoanalisi
Chiedere perché si è scelto un cibo piuttosto che un altro aiuta a capire se l’impulso che spinge a mangiare è frutto di una fame fisiologica, cioè il calo energetico o il cosiddetto buco allo stomaco, oppure è figlio della fame nervosa. Quest’ultima non si placa neanche dopo i pasti regolari e porta a ricercare cibi specifici, generalmente più grassi e dolci. Può essere utile rispondere in maniera scritta a queste domande: «Che cosa provo quando mangio questo cibo?». «Potrei mangiare qualcosa di diverso?». «Ho davvero fame o sono sazio?».
2. Attività fisica
Prima di intraprendere qualsiasi regime alimentare è fondamentale preparare il proprio corpo al movimento. L’attività fisica produce endorfine, parenti strette della feniletilamina contenuta nel cioccolato, e quindi provoca piacere.
3. Progressività
È importante abbandonare per gradi l’assuefazione da alcuni ingredienti. Una privazione improvvisa porterebbe a una sorta di crisi d’astinenza e di conseguenza a un veloce fallimento della dieta. Se si era abituati a concludere il pasto con il dolce quotidianamente, per quattro giorni alla settimana si sostituirà con una macedonia o con uno yogurt e cacao amaro. Se funziona, si arriverà poco per volta a fare a meno del dessert.
4. Da novità ad abitudine
Sull’onda dell’entusiasmo è facile cambiare stile di vita, ma è poi difficile mantenerlo. Secondo gli esperti affinché un comportamento diventi un’abitudine sono necessari (guarda caso!) almeno 40 giorni, nel corso dei quali scelte e gusti vengono concepiti come routine. L’abitudine ha però bisogno di uno stimolo-segnale e di un rinforzo-gratificazione. Il primo può essere quello di dover dare un report settimanale al proprio consulente alimentare. Il secondo può essere rappresentato dall’appuntamento piacevole con l’amico per la corsetta giornaliera.
5. Due terzi vegetali
Quale che sia il menù preferito, frutta e verdura devono rappresentare i due terzi di ogni pasto. E quel che rimane dev’essere distribuito tra carboidrati, proteine e grassi buoni.
6. Un pasto libero
Il cervello non può reggere privazioni troppo lunghe, soprattutto nel caso di piatti contenenti sostanze che per natura provocano piacere. Pertanto, una volta alla settimana, sia la fetta di torta sia la pizza non solo sono ammesse, ma assumono un ruolo fondamentale per sostenere la motivazione a seguire la dieta e quindi a far scendere l’ago della bilancia. È anche importante che questo momento si programmi e lo si aspetti e gusti proprio come un appuntamento romantico.
7. Colori e profumi
Può rivelarsi utile riempire il frigo di vegetali freschi e dal colore sgargiante, perché giovano alla vista. Mentre le spezie e le erbe aromatiche stimolano l’olfatto e limitano l’uso di sale, salse e altri condimenti grassi.
8. Masticazione
La consistenza di ciò che si mette nel piatto è fondamentale per la buona riuscita della dieta. La mente, ancora prima dello stomaco, ha bisogno di masticare per raggiungere il senso di sazietà. A tal proposito, meglio scegliere il minestrone a pezzi rispetto al passato di verdure, oppure yogurt arricchito con cereali e frutta secca anziché un semplice frullato.
9. Piatti belli
C’è differenza tra una poltiglia di ingredienti e un piatto ben presentato. Non si pretende un impiattamento da chef, ma gustare un pasto bello, oltre che buono, produce un doppio piacere.
10. Genuinità
Ultimo, ma non per importanza, è il discorso genuinità. La dieta dovrebbe puntare sull’aumento della qualità degli alimenti anziché sulla diminuzione delle quantità. Abbandonare tutto quello che «una nonna non riconoscerebbe come cibo» permetterà al palato di disabituarsi al junk food e al cervello di non sentirne troppo la mancanza.
La via orientale
Un aiuto per gestire la fame nervosa e seguire un’alimentazione corretta finalizzata a perdere qualche chilo di troppo può venire anche dall’Ayurveda. Un insieme di pratiche tradizionali indiane ritenuto dall’Organizzazione mondiale della sanità un rimedio utile al mantenimento e al riequilibrio della salute. In che modo? Lo spiega Lorenza Minola, insegnante di yoga, una delle pratiche indiane che, insieme con alimentazione sana, massaggi, respirazione, meditazione, metodiche di pulizia corporea e utilizzo di erbe, consentono di raggiungere il benessere psicofisico. «Secondo gli ayurvedici le persone hanno una costituzione fisica e una mentale-emozionale e il tutto viene riassunto nella parola Dosha», dice Minola, fondatrice del network LoYoga, che riunisce i migliori insegnanti e studi yoga, prenotabili anche via app (www.lo-yoga.it).
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«Puoi essere Vata, se il tuo elemento dominante è l’aria (per esempio, sei una persona molto magra che fa fatica a stare ferma), Pitta (persona bionda o rossiccia con caratteri focosi) o Kapha (persona brune e tendente alla lentezza e a mettere su peso). L’equilibrio o meno dei tre elementi in una persona ha un grande effetto sugli stati emotivi. Ad esempio, una persona Vata dovrà “pacificarsi” facendo uso di olio, facendosi massaggiare, bevendo molto e mangiando cibi liquidi o morbidi. Penserà di dover sempre correre in giro, ma troverà la vera pace imparando a rallentare e meditare.
Una persona Pitta dovrà evitare il peperoncino la sera perché fuoco su fuoco porta agitazione e insonnia. Una persona Kapha dovrà cercare di attivarsi, mangiare cibi freschi e non pensare troppo al passato. Secondo gli ayurvedici, il vero equilibrio viene dalla combinazione di tutti gli elementi. Per questo in un pasto dovrebbero esserci tutti e cinque i sapori: dolce, salato, amaro, acido e piccante».
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