Non tutti quelli che hanno avuto un infarto durante la pandemia possono dare la colpa all’occlusione delle arterie coronarie. Nel 40% dei casi, infatti, la causa è da ricercare negli effetti collaterali del coronavirus sul sistema cardiovascolare. A dirlo è una ricerca condotta in sinergia tra le Cardiologie Interventistiche della Lombardia e pubblicata sulla rivista Circulation.
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Infarto: nel 40% dei casi non sono state occlusioni coronariche a causarlo
I ricercatori hanno raccolto i dati dei principali centri di emodinamica della medesima regione, nel periodo compreso tra il 20 febbraio e il 30 marzo. Lo studio ha coinvolto 28 pazienti Covid colpiti da infarti e sottoposti a coronarografia in regime di urgenza. Nell’ 85% dei casi l’infarto è stata la prima manifestazione del contagio, mentre nei restanti casi i pazienti erano stati i colpiti durante il ricovero per il virus.
«Abbiamo ritenuto sicuro effettuare la coronarografia, l’esame che consente di visualizzare immagini delle coronarie. Lo abbiamo fatto malgrado le prime raccomandazioni internazionali suggerissero di ricorrere in prima battuta alla trombolisi, cioè la somministrazione di un farmaco capace di disostruire l’arteria occlusa. Grazie a questa scelta, abbiamo potuto scoprire che nel 40 % dei pazienti la situazione delle coronarie era assolutamente normale e dunque la causa dell’infarto andava ricercata altrove» commenta Daniela Trabattoni, responsabile di Unità Operativa di Cardiologia Interventistica del Centro Cardiologico Monzino di Milano.
Esiste l’infarto in assenza di ostruzioni coronariche, il MINOCA
Ma, dunque, se a causare l’infarto non è stata l’occlusione coronarica, quali alternative si paventano? In realtà l’infarto miocardico in assenza di ostruzioni coronariche (chiamato MINOCA da Myocardial Infarction with Non- Obstructive Coronary Arteries) esiste eccome, seppur con un’incidenza piuttosto bassa, del 6-9%. Questo fenomeno si verifica maggiormente nelle donne giovani e ha una mortalità più bassa rispetto all’infarto miocardico dovuto l’ostruzione delle coronarie. A dare luogo a questa tipologia di infarto sono spasmo coronarico, dissezioni coronariche spontanee, disfunzione del microcircolo, microembolizzazioni coronariche, miocarditi, sindrome di Takotsubo. Quest’ultima può essere scatenata da condizioni di stress psico-fisico o emozioni intense.
L’infarto può insorgere in seguito a complicanze Covid
Come suggerisce Trabattoni, l’elevata percentuale di infarto non causato da ostruzioni coronariche in pazienti Covid fa presupporre che questo evento possa insorgere in seguito a complicanze dell’infezione. «Il virus attacca l’endotelio, cioè il tessuto delle arterie, che reagisce rilasciando sostanze proinfiammatorie e citochine, aumentando anche l’attivazione piastrinica. Tali meccanismi possono aumentare il rischio di danno miocardico, infarto e vasospasmo coronarico» continua la professoressa. Si tratta di ipotesi che dovranno essere ulteriormente verificate su popolazioni più ampie.
Calo degli accessi al PS per malattie cardiovascolari durante la pandemia
Certo è che il legame tra Covid e malattie cardiovascolari fornisce sempre diversi spunti di riflessione. Ad esempio «le osservazioni relative a questo periodo di pandemia evidenziano come gli accessi al Pronto Soccorso per eventi cardiovascolari siano diminuiti drasticamente. I dati raccolti su 500 pazienti, in uno studio appena pubblicato, confermano infatti che il ritardo nell’accesso alle cure in caso di dolore toracico, motivato da paura di contrarre l’infezione in ospedale, ha causato un aumento della mortalità per infarto miocardico e arresto cardiaco in questo periodo. L’ipotesi è quindi che alcuni pazienti siano scomparsi per infarto, senza neppure cercare soccorso in ospedale» conferma Trabattoni. Fortunatamente ora la situazione sta tornando alla normalità. I pazienti hanno capito che i centri specializzati sono sicuri e garantiscono cure tempestive.
Chiara Caretoni
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