Non ci sono solo batteri cattivi, quelli che ci fanno ammalare. Esistono anche i batteri buoni, alleati della nostra salute. Stanno anche dentro di noi: si insediano negli apparati del nostro organismo a contatto con il mondo esterno e l’insieme che formano con funghi, virus, protozoi e archeobatteri è definito microbiota. In questi giorni costretti a casa, sul tema di alimentazione e quarantena, potrebbe essere interessante scoprire cos’è il microbiota, come si sviluppa nel corso della vita e come possiamo prendercene cura con la dieta.
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Microbiota: merito della mamma
«Nei primi cinque anni di vita», spiega Enzo Soresi, primario emerito di pneumologia all’ospedale Niguarda di Milano, «noi ci contaminiamo con una quantità di germi che arriva a un peso complessivo di 250 grammi e il cui patrimonio genetico supera di cento volte il nostro». Contaminazione di cui le prime responsabili sono le mamme. Una ricerca condotta dall’Università di Parma e pubblicata nel 2017 su Microbiome, ha dimostrato che nelle prime fasi di vita il neonato erediti dalla genitrice, anche attraverso il latte materno, dei bifidobatteri. Sono microrganismi che favoriscono il benessere della flora intestinale. Una trasmissione verticale madre-figlio evidenziata anche in uno studio sui topi, pubblicato nel 2018 su Science dall’Università della California a Berkeley (Usa). I ricercatori suggeriscono come i batteri patogeni si siano, invece, evoluti per essere trasmessi orizzontalmente tra individui e non ereditati dai genitori.
Merito anche degli animali
La costruzione del microbiota dipende, poi, dall’ambiente in cui il bambino vive. Come dimostrato dalla pediatra, allergologa ed epidemiologa tedesca Erika Von Mutius. «Girando nel territorio alpino di sua competenza – continua l’esperto – si era resa conto che i bambini che giocavano nelle stalle a contatto con gli animali da fattoria erano poco colpiti da allergie e asma. Un’assenza di malattie – fu la sua intuizione – che andava ricercata nella quantità di microrganismi che progressivamente contaminavano i piccoli montanari. Così è stato scoperto il microbiota intestinale».
Sovvenzionata pubblicamente per proseguire le ricerche, la studiosa ha confermato, assieme al genetista statunitense Fernando Martinez, l’ipotesi igienica dell’epidemiologo britannico David Strachan. Meno i bambini dei Paesi ricchi sono esposti ai germi e più aumentano le malattie allergiche. Paradigma rafforzato in seguito dallo studio di due popolazioni autoctone americane da parte di un’altra genetista, Carole Ober. «L’incidenza di allergie e asma nei giovani amish, che vivono a stretto contato con gli animali, è risultata essere del 2-3% (come per i bimbi esaminati da Erika Von Mutius) contro il 15% degli hutteriti, la cui igiene è curata quasi ossessivamente».
Un’orchestra che influenza la dieta a 360 gradi
Il discorso, però, non si ferma ad allergie e asma. «Il microbiota è in grado di influenzare il nostro benessere psicofisico per l’intero arco della nostra vita in numerosi e svariati meccanismi», conferma la dottoressa in biologia applicata alle scienze della nutrizione Silvia Di Maio. «Alcuni microrganismi sono in grado di produrre molecole, anche molto diverse tra loro, che svolgono ruoli altrettanto vari. Fattori di crescita, sostanze antibatteriche, ormoni e neurotrasmettitori.
Dal processamento di residui alimentari che noi non sappiamo come trattare (per esempio, le fibre) possono, poi, derivare vitamine o acidi grassi a catena corta. Non solo. Il microbiota sarebbe in grado anche di influenzare il passaggio di sostanze attraverso la parete intestinale. Senza dimenticare la funzione di barriera. La popolazione di microrganismi che vive dentro di noi sta così bene da non voler compromettere la situazione allargando l’invito a microrganismi invasori. Così facendo ci aiuta a contrastare l’ingresso di agenti patogeni».
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Dal Parkinson al diabete: lo zampino della disbiosi
Insomma, abbiamo tutto l’interesse a «offrire vitto e alloggio» al nostro microbiota. Sì, perché, come precisa Soresi, «siamo simbionti con i batteri. Nel senso che conviviamo con loro, ma siamo noi a essere i loro ospiti. I batteri sono qui da miliardi di anni, l’uomo è arrivato molto dopo. Quindi dobbiamo far stare bene loro per stare bene noi. Perché, se questi sono a disagio, cambiano il loro assetto e alterano il nostro stato psicofisico. Basti dire che, per esempio, il microbiota è etnico. Se ci trasferiamo dall’Italia in Australia, passeranno anni prima che il nostro microbiota si adegui al cambiamento».
Il disequilibrio del microbiota intestinale, cioè la disbiosi, è associato da oltre 30mila studi effettuati in questi ultimi anni alle più svariate condizioni patologiche. Obesità, diabete mellito, ma anche asma, malattie infiammatorie croniche intestinali e neurodegenerative (Parkinson). Fino a quelle psichiatriche, come disturbi d’ansia e depressione maggiore, e all’alterazione del sonno. Un lungo elenco che, sottolinea Silvia Di Maio, suggerisce l’esistenza di «un’intensa comunicazione lungo l’asse intestino-cervello».
La relazione con il sistema immunitario
Tanto che Soresi non ha dubbi nel definire il microbiota «un organo essenzialmente neuroendocrino». Ma un’intensa relazione esiste anche tra microbiota e immunità. «Ci aiuta a proteggerci da invasori patogeni, produce sostanze antinfiammatorie e potrebbe essere implicato anche in patologie autoimmuni», precisa la dottoressa. Affermazione avallata dal primario emerito del Niguarda. «Gli ultimi studi hanno confermato che, in mancanza di un microbiota adeguato, ne risente anche l’efficacia degli immunoanticorpi nella cura delle malattie oncologiche».
Proprio perché la disbiosi è associata a tutte queste patologie, l’analisi del microbiota è importante per elaborare terapie efficaci. «Oggi», annota sempre Soresi, «la si può fare direttamente da casa attraverso le piattaforme internet di laboratori specializzati. Si invia la richiesta via web e, a pagamento, ci viene spedito un kit con contenitore per feci da riempiere e rimandare al mittente. Dopo un mese circa arriva una ventina di pagine con l’analisi genetica dei ceppi batterici finora messi a fuoco e un commento riassuntivo».
Attenzione agli antibiotici e al cibo
Tra i fattori principali che possono esercitare, nel bene e nel male, un impatto sull’equilibrio della nostra popolazione microbica ci sono gli ormoni, in particolare femminili, e gli antibiotici. «Premesso che salvano la vita e non vanno né temuti né demonizzati», puntualizza Silvia Di Maio. «Possiamo dire che per loro natura esercitano un effetto a livello delle cellule batteriche e possono di conseguenza alterare l’equilibrio del nostro microbiota. È sempre importante seguire il consiglio del proprio medico in merito».
Ma a fare la differenza è anche l’alimentazione. «Il microbiota intestinale è a diretto contatto con i cibi di cui ci nutriamo e non può che esserne influenzato», scende nel merito la dottoressa in biologia. «La cosiddetta Western Diet (la dieta occidentale o la dieta americana standard) è povera di fibre, ricca di grassi e di zuccheri, tra i quali spicca in particolare un elevato consumo di fruttosio. A tali condizioni si associa un’alterazione dell’equilibrio del microbiota, che viene, invece, favorito dalle principali caratteristiche della dieta mediterranea, ricca in polifenoli, antiossidanti, fibre e acidi grassi omega 3».
Alimentazione il più varia possibile
In particolare, quando ci mettiamo a tavola, dobbiamo considerare che, essendo estremamente variegata la popolazione microbica, altrettanto diversi saranno i «gusti» dei diversi microrganismi. Quindi orientarci su un’alimentazione il più varia possibile. Innanzitutto, elenca Silvia Di Maio, «il microbiota va ghiotto di fibre, in particolare quelle prebiotiche. È, allora, importante dedicare grande spazio nella nostra dieta a frutta, verdura e legumi, spaziando da broccoli a piselli, melograno, prugne e chi più ne ha più ne metta. Rientrano tra i prebiotici anche i polifenoli, molecole di cui, ancora una volta, sono ricchi frutta e verdura, ma anche cereali, tè, caffè e cacao».
Il nostro ospite, però, non disdegna neppure l’arrivo di probiotici. Sono microrganismi vivi che, quando assunti in quantità adeguate, possono aiutarci a migliorare il nostro benessere.
«Da non dimenticare, infine», conclude Silvia Di Maio, «gli acidi grassi omega 3. Si possono trovare, per esempio, in merluzzo, salmone e sardine. Sono considerati “grassi buoni” per i loro effetti benefici, a partire dall’azione antinfiammatoria».
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