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Coronavirus: il virologo Giovanni Maga risponde a tutte le domande

Il direttore dell'Istituto di Genetica molecolare del CNR-IGM chiarisce ogni dubbio in merito all'infezione COVID-19 che fa così tanta paura

Se ogni anno l’influenza stagionale passa quasi del tutto inosservata, al contrario il Coronavirus di origine cinese fa paura, svuota le città, domina i palinsesti televisivi, fa parlare di sé (forse più del dovuto), suscita polemiche anche tra gli specialisti e costringe la popolazione ad adottare misure cautelative eccezionali. L’attenzione mediatica è altissima, certo, ma non sempre le informazioni riportate in televisione, sui giornali e sul web sono corrette e veritiere: ciò condiziona i comportamenti e i pensieri delle persone (vi ricordate le code chilometriche alle casse dei supermercati?) e contribuisce ad alimentare la psicosi. Vediamo allora di fare un po’ di chiarezza sull’argomento con l’aiuto di Giovanni Maga, virologo, direttore dell’Istituto di Genetica molecolare del CNR-IGM e professore di Biologia molecolare all’Università degli Studi di Pavia.

Stiamo “sopravvalutando” il rischio o la paura è più che giustificata?

«È giusto mettere in atto le dovute precauzioni ma al contempo non bisogna alimentare il panico perché, stando ai dati epidemiologici disponibili su decine di migliaia di casi, l’infezione COVID-19, causata dal Coronavirus SARS-CoV-2, provoca sintomi lievi e moderati nell’80-90% dei casi. Solo nel 15-20% può innescare una polmonite, il cui decorso è, nella maggior parte dei casi, benigno. La mortalità, invece, è bassissima, presumibilmente intorno al 2% come conferma l’OMS, nonostante l’attenzione mediatica di questi giorni paia raccontare altri scenari. Questi numeri, tra l’altro, potrebbero venire ulteriormente ridimensionati perché, in base ai dati accumulati, è ragionevole ipotizzare che per ogni caso accertato di positività ce ne siano almeno 2/3 che rimangono “sommersi” a causa della moderatezza (o addirittura inesistenza) dei sintomi e dunque sfuggono alle stime. Da questo si deduce che la percentuale di persone infette nel mondo potrebbe essere più ampia di quella che noi oggi consideriamo reale. Ciò abbasserebbe, di conseguenza, la pericolosità del virus e i decessi registrati finora rappresenterebbero una frazione più piccola rispetto a quella che appare».

Gruppo San Donato

Coronavirus e influenza: qual è il legame?

«Rispetto ai virus dell’influenza stagionale, che cambiano di poco le proprie caratteristiche di anno in anno, il Coronavirus è completamente diverso e del tutto nuovo, visto che non era mai stato identificato prima di essere segnalato a Wuhan, in Cina, lo scorso dicembre. Essendo un virus sconosciuto fino a poco tempo fa, nessuno è immune all’infezione perché non si possiedono gli anticorpi. Di conseguenza, a differenza dell’influenza, i contagi avvengono più facilmente, colpendo in maniera massiva anche i soggetti più a rischio. Se non si prendessero provvedimenti di sanità pubblica, come quelli che sono stati adottati in questi giorni, la diffusione sarebbe sicuramente maggiore, anche a causa del fatto che non si possiedono ancora un vaccinoterapie antivirali specifiche. Tuttavia tra la COVID-19 e l’influenza ci sono diverse analogie, che riguardano soprattutto le modalità di trasmissione, la sintomatologia e l’insorgenza di complicanze – e talvolta la mortalità – in determinate categorie di individui. Purtroppo i decessi che si sono verificati finora hanno riguardato persone con quadri clinici già molto compromessi, tant’è che in alcuni casi non si può neanche affermare con certezza che l’infezione sia stata la causa della morte. La stessa cosa avviene, ogni anno, a centinaia di persone che contraggono l’influenza».

E quali sono le persone più a rischio?

«Dagli studi condotti finora è emerso che questa infezione è assolutamente guaribile, soprattutto nella fascia giovane/adulta della popolazione, nella quale spesso i sintomi non sono neanche particolarmente intensi. Purtroppo, però, ci sono individui che, più facilmente di altri, possono andare incontro a complicanze, come polmoniti gravi e difficoltà respiratorie: tra questi ci sono gli anziani, indicativamente over 65-70, e le persone immunodepresse o con patologie pregresse (cardiovascolari, respiratorie, oncologiche, renali). Ma questo vale anche per altre infezioni, come nel caso dell’influenza stessa. Da quello che abbiamo potuto osservare fino adesso, i bambini non sono immuni alla COVID-19 ma sono sicuramente meno suscettibili ad avere sintomi intensi. Se contraggono il virus, infatti, i disturbi riportati sono lievi o moderati e il decorso è assolutamente benigno. Questo può essere dovuto alla differente struttura del sistema immunitario che, rispetto all’adulto, risponde in maniera diversa all’infezione».

Ma quindi come faccio a sapere se ho l’influenza o il Coronavirus?

«I sintomi del Coronavirus sono molto simili a quelli influenzali ma i più diagnostici – per così dire – sono la febbre, che spesso supera i 38 gradi, e la tosse, che può comparire dopo qualche giorno. Normalmente non ci sono i disturbi delle alte vie respiratorie, come il naso che cola e il raffreddore, perché questo virus colpisce la parte più profonda dell’apparato respiratorio (è per questo che, talvolta, compare la polmonite). Dopo aver intrapreso una terapia antipiretica, si può sempre consultare il medico di base, che conosce il paziente e la sua storia clinica. Se c’è un ragionevole sospetto che ci sia stato un contatto con le zone-focolaio, con persone attualmente infette o con quelle che potrebbero rappresentare un rischio (e questo lo si può valutare solo ripensando ai propri spostamenti recenti), allora il medico può suggerire di interpellare i numeri nazionali 1500 e 112. In seguito si attiva la procedura che prevede una sorveglianza attiva o, se c’è un sospetto concreto, viene effettuato il test».

Cosa significa non aver individuato il paziente 0?

«In Italia abbiamo identificato il paziente 1, cioè il 38enne di Codogno dal quale è partito l’effetto domino dei contagi in Lombardia, ma non il paziente 0, ossia colui che ha dato origine al focolaio. Non averlo trovato significa che il soggetto responsabile della diffusione della malattia potrebbe avere avuto sintomi blandi, sovrapponibili a quelli influenzali e non riconoscibili come caratteristici del Coronavirus, e aver contagiato altre persone prima che fosse diagnosticato il “caso indice”. Vuol dire che molto probabilmente il virus circolava, almeno nel Nord Italia o comunque nelle zone rosse, già da qualche settimana. Eppure, sebbene il paziente 0 non sia mai stato rilevato, i casi di positività registrati finora sono circoscritti nelle aree dei focolai o legati in qualche modo a essi: se il virus non si estende oltre, significa che il sistema e le misure adottate hanno retto e funzionato».

Perché in Italia sono stati registrati così tanti casi?

«Dal momento in cui si è reso noto il primo caso di positività al SARS-CoV-2, quello del 38enne attualmente ricoverato, ci si è immediatamente attivati per fare il test a chi avesse avuto contatti con lui, andando a testare anche le persone asintomatiche. Negli altri Paesi europei, invece, si sono eseguiti meno tamponi in generale, sono stati valutati solo gli individui con sintomatologia ed è stato possibile identificare rapidamente il paziente 0, permettendo alle autorità sanitarie di circoscrivere più facilmente l’epidemia e isolare i soggetti contagiati. In Italia, non essendo stata trovata la fonte del contagio, si è reso necessario allargare il campo. È chiaro che più si cerca e più si trova».

Qual è l’iter dopo aver riscontrato la positività?

«Quando si accerta la positività al Coronavirus, la persona infetta viene posta per 14 giorni in isolamento, in una struttura attrezzata o nella propria abitazione, e attivamente sorvegliata. Non essendoci una terapia specifica, se i sintomi sono blandi si opta per un trattamento sintomatico che prevede, ad esempio, la somministrazione di antipiretici in caso di febbre. Se l’entità della sintomatologia peggiora, si procede con il ricovero e si interviene supportando le funzioni vitali del paziente, eventualmente anche in terapia intensiva, per dare tempo al sistema immunitario di sconfiggere l’infezione».

Se ci si deve recare in ospedale, si può stare tranquilli?

«A prescindere dall’emergenza sanitaria in atto, c’è chi deve necessariamente recarsi negli ospedali per visite specialistiche programmate, ritiro di farmaci o urgenze di varia natura. Per questo motivo i nosocomi italiani, anche al di fuori delle zone rosse, hanno ricevuto disposizioni precise per regolamentare l’accettazione e il flusso dei pazienti, per garantire il minor contatto possibile con eventuali soggetti a rischio. Anche molti Pronto Soccorso si stanno attrezzando con unità speciali nelle quali gli individui sospetti vengono valutati, rimanendo quindi in un ambiente separato da tutto il resto».

Quanto durerà l’epidemia? Il caldo arresterà il virus?

«Sebbene non si possa prevedere entro quanto rientrerà questa emergenza, si ipotizza che, per analogia con i virus della SARS o dell’influenza, il Coronavirus potrebbe avere un andamento stagionale. Questi virus prediligono temperature e tassi di umidità bassi, quindi non è irragionevole supporre che con l’arrivo di un clima più mite, il virus possa perdere potenza e di conseguenza l’epidemia scemare anche in maniera autonoma».

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Chiara Caretoni

Giornalista pubblicista, lavora come redattrice per OK Salute e Benessere dal 2015 e dal 2021 è coordinatrice editoriale della redazione digital. È laureata in Lettere Moderne e in Filologia Moderna all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, ha accumulato diverse esperienze lavorative tra carta stampata, web e tv, e attualmente conduce anche una rubrica quotidiana di salute su Radio LatteMiele e sul Circuito Nazionale Radiofonico (CNR). Nel 2018 vince il XIV Premio Giornalistico SOI – Società Oftalmologica Italiana, nel 2021 porta a casa la seconda edizione del Premio Giornalistico Umberto Rosa, istituito da Confindustria Dispositivi Medici e, infine, nel 2022 vince il Premio "Tabacco e Salute", istituito da SITAB e Fondazione Umberto Veronesi.
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