Disturbi difficili da interpretare, continui pellegrinaggi da uno specialista all’altro in cerca di risposte, diagnosi che tardano ad arrivare, terapie sperimentali o assenza totale di cure, scarsità di informazioni, aspettativa di vita talvolta molto bassa, eterni brandelli di speranza ai quali aggrapparsi con i denti e con le unghie. Prendetevi 5 minuti per riflettere su cosa voglia dire essere un malato raro e su quanto sia complicato, estenuante e logorante scontrarsi con patologie che, per definizione della Commissione Europea, colpiscono 5 persone su 10.000.
Per non dimenticare le sfide quotidiane di queste persone, che nella maggior parte dei casi sono ancora in età pediatrica, e dei loro familiari, il 29 febbraio si celebra in tutto il mondo la Giornata delle malattie rare. Il fatto che l’incidenza sia bassissima non significa, infatti, che i riflettori dell’informazione debbano abbassarsi, anzi: in questi casi è indispensabile più che mai dedicarsi strenuamente a queste realtà, raccogliendo notizie e testimonianze, creando una rete di supporto per pazienti e caregiver, mettendo a punto approfondimenti e ricordando quanto impegno viene attualmente profuso nel settore della ricerca.
E questo si riflette bene, ad esempio, nel caso dell’alfa-mannosidosi, che ha un’incidenza di 1 paziente su 1 milione. «Proprio come in una casa bisogna raccogliere e smaltire la spazzatura prodotta dai componenti della famiglia, così nel nostro organismo si formano delle sostanze di scarto che devono essere necessariamente degradate» spiega Maurizio Scarpa, Direttore del Centro di Coordinamento Regionale Malattie Rare dell’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine e Coordinatore della Rete di riferimento europeo per le malattie metaboliche (MetabERN). «Normalmente per portare a compimento questo processo ci sono degli appositi enzimi che, in catena, si liberano di ciò di cui non si ha più bisogno. Tra questi enzimi c’è l’alfa-mannosidasi, che serve a degradare alcuni zuccheri complessi, cioè gli oligosaccaridi. Se questo catabolizzatore è assente o funziona male il materiale di scarto si accumula nelle cellule, creando un danno più o meno grave a organi, tessuti e apparati. Questa è, appunto, l’alfa-mannosidosi».
Le unità di ricerca, le campagne di sensibilizzazione e le iniziative promosse a livello globale da istituzioni, associazioni, familiari e professionisti sanitari sono fondamentali per far conoscere il più possibile questa malattia che non può essere diagnosticata se non se ne conosce nemmeno l’esistenza. «L’alfa-mannosidosi è una malattia rara ma i suoi sintomi non lo sono affatto, anzi: i disturbi sono piuttosto comuni e possono essere tranquillamente associati ad altre malattie più conosciute. Per questo motivo abbiamo il dovere di informare e formare gli specialisti, soprattutto i pediatri, affinché si possano indirizzare i pazienti verso centri specializzati e formulare diagnosi sempre più precoci» ribadisce Scarpa. La malattia, dunque, è particolarmente subdola, perché si manifesta con sintomi che, soprattutto se presi individualmente, possono sembrare aspecifici e trarre in inganno.
Inoltre, i disturbi si presentano in maniera differente a seconda di quando viene fatta la diagnosi. «L’alfa-mannosidosi può colpire il bambino nel primo anno di vita con uno sviluppo scheletrico alterato, deficit uditivi, ernie ombelicali e inguinali, fattezze del viso grossolane e riduzione del tono muscolare: di solito in questi casi la malattia assume un grado di severità importante e bisogna intervenire precocemente. Può accadere invece che nei primi anni di vita il piccolo si sviluppi normalmente per poi manifestare, nell’arco di una decina di anni, un ingrandimento del fegato e della milza, l’alterazione del sistema neurologico con qualche ritardo mentale e anomalie dal punto di vista scheletrico. Infine, nelle forme più attenuate, la malattia può anche essere individuata oltre il decimo anno di vita ed entro il ventesimo: in questi casi i sintomi sono ancora più sfumati visto che non ci sono alterazioni sostanziali e il sistema cerebrale non è compromesso» spiega nel dettaglio il professore.
Insomma, il percorso che va dal riconoscimento della sintomatologia alla formulazione di una diagnosi, fino alla presa in carico in uno dei Centri regionali di coordinamento presenti su tutto il territorio italiano, è lungo e tortuoso, e solo grazie al continuo lavoro di ricerca è stato e sarà possibile sviluppare terapie estremamente innovative che consentano a questi pazienti di ricevere una cura.
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