Sono passati diciannove anni dall’ultimo ceppo di virus dell’Hiv scoperto. Ora un gruppo di ricercatori dell’università del Missouri a Kansas City, negli Stati Uniti, ha scoperto un nuovo ceppo dell’Hiv, il virus che provoca l’Aids. Nonostante siano passati oltre 35 anni dalla scoperta del virus, ci sono ancora molte convinzioni errate. Ecco le più importanti.
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È il decimo ceppo del gruppo M
Il team di scienziati ha spiegato che il nuovo ceppo appartiene alla famiglia M, la stessa che ha provocato la pandemia. La pandemia è un’epidemia che si diffonde in molte zone del pianeta, colpisce molte persone e ha una mortalità elevata. È il primo nuovo ceppo identificato da quando nel 2000 sono state fissate le linee guida per la classificazione dei sottotipi.
La versione del gruppo M del virus dell’Hiv è responsabile del 90% dei 37.900.000 di contagi attuali, secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità. Nel 2016, ultimo dato disponibile, l’infezione ha colpito circa 1.800.000 di persone.
Aids nuovo ceppo: la terapia classica funziona
Anthony Fauci, direttore dell’Istituto nazionale di allergie e malattie infettive, ha assicurato che gli attuali trattamenti per l’Hiv sono efficaci contro questo ceppo. «Non c’è motivo di farsi prendere dal panico o addirittura preoccuparsene» ha affermato Fauci.
Al momento non esistono ancora cure definite contro l’infezione da Hiv.
Il trattamento dell’infezione da HIV consiste in un controllo del virus con una combinazione di farmaci che impedisce la replicazione del virus, riducendo carica virale, “salvando” la distruzione del sistema immunitario.
Per essere efficace questa terapia ha bisogno proprio della combinazione di diverse classi di farmaci. Ecco perché si parla di terapia antiretrovirale di combinazione (cART).
Questa scoperta sottolinea l’importanza della ricerca
«Questa scoperta ci ricorda come per porre fine alla pandemia si debba considerare questo virus in continua trasformazione ed utilizzare le più avanzate tecnologie e risorse per monitorare la sua evoluzione». Lo ha spiegato, Carole McArthur, una delle autrici di questo studio condotto con una collaborazione tra l’Università del Missouri e i laboratori Abbott.
FONTE: Journal of Acquired Immune Deficiency Syndrome
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