L’obiettivo di una sana litigata non è, come molti credono, quello di sentirsi meglio subito dopo, sollevati per lo sfogo. Non è neanche quello di imporre le proprie ragioni o dimostrare di essere migliori degli altri. I conflitti servono per evolvere, migliorarsi, sciogliere nodi irrisolti, costruire rapporti veri. E se bisticciare è facilissimo, soprattutto per qualcuno, gestire bene i confronti è una dote rara che, se non è un regalo di Madre natura, può essere acquisita con un paziente lavoro su se stessi. C’è un modo per litigare nel modo giusto?
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Inutile evitare i conflitti
La prima cosa da fare è smettere di evitare i conflitti costi quel che costi, nella convinzione che ci avvelenino la vita. Le ricerche scientifiche condotte sull’argomento dimostrano il contrario. Nel matrimonio, per esempio. Uno studio dell’Università della California ha dimostrato che spesso è proprio l’assenza di contrasti manifesti a far naufragare un legame. Questo perché denota una scarsa «manutenzione» del rapporto affettivo, che passa anche attraverso tensioni e ostilità.
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Il complesso dell’armonia
Dobbiamo liberarci, insomma, di quello che lo psicanalista svizzero Adolf Guggenbuhl-Craig chiama il complesso dell’armonia. Si tratta dell’idea che, per essere felici, bisogna andare d’accordo con tutti. «I conflitti sono fenomeni perturbanti, generano crisi, muovono insicurezze e paure profonde, richiedono energie e fatica», spiega Alessandra Gigli, docente di pedagogia delle famiglie, pedagogia della comunicazione e della gestione dei conflitti all’Università di Bologna. «D’altro canto, possono rivelare aspetti nascosti di sé, aiutare a emanciparsi, liberarsi da frustrazioni, rinnovare situazioni stagnanti».
Come spiegava bene anche lo psicanalista e sociologo Erich Fromm, un conflitto ben gestito non è mai distruttivo. Al contrario la convinzione di potersi confrontare in modo produttivo «plasma» il nostro comportamento, consentendoci di affrontare con successo anche situazioni in cui il compagno, il figlio o il capoufficio ha un atteggiamento ostile e non
collaborante.
Litigare nel modo giusto: contare fino a dieci
Rimandare non serve. Meglio dirsele, per citare il titolo dell’ultimo saggio di Daniele Novara (Rcs Libri). «Dirsele, inteso come capacità di sollevare il problema, è il primo passo per una corretta gestione dei conflitti», spiega l’autore, pedagogista e fondatore del Cpp (Centro psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti) di Piacenza. «Il
secondo passo è dirsele bene». Il primo nemico è l’emozione. Più la posta in gioco è alta (il posto di lavoro, il futuro del matrimonio, il bene dei figli), più il vortice emotivo ci travolge e ci annebbia la mente. Novara sostiene che la prima reazione, benché spontanea e «di pancia», a una provocazione, è sempre quella sbagliata. Come spiega Isabelle
Filliozat nel suo libro Il quoziente emotivo (Piemme), bisogna uscire da un registro puramente emotivo per capire bene qual è il problema e arrivare a soluzioni pratiche. Il trucco è semplice: prendere tempo, il classico contare fino a dieci.
«Esplicitiamo all’altro il bisogno di una pausa, dicendo chiaramente che non si tratta di una fuga, ma di un momento per “sbollire”, indispensabile per comunicare meglio», consiglia Gigli.
Andare al nocciolo della questione
Una volta calmate le acque, il diverbio si sposta su un piano più comunicativo. Il passo successivo è individuare il focus della discussione, per evitare di disperdere energie preziose in polemiche sterili. Un esempio. Anna e Marco litigano perché lui ha rovesciato il caffè. La discussione degenera e i due se ne dicono di tutti i colori.
Una banalità evitabile?
«No, se è segnale di un bisogno inespresso, di qualcosa da rivedere nel loro rapporto», risponde Gigli, che nel suo libro Famiglie evolute. Capire e sostenere le funzioni educative delle famiglie plurali (Edizioni Junior) spiega: «Ogni conflitto è come un iceberg e la punta è solo una porzione del conflitto reale tra due persone. Per capirsi davvero, bisogna considerare il pretesto della discussione come un sintomo, utile per individuare la vera causa del problema e far emergere i bisogni reali, le differenze di opinione che hanno generato l’incomprensione». Tutto questo inizia molto prima del litigio vero e proprio: forse Anna e Marco hanno dei conti in sospeso e il caffè sulla tovaglia è
solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso.
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Litigare nel modo giusto: le regole d’oro
- Leggi il conflitto non come una minaccia, ma come un’occasione di cambiamento.
- Non confondere il conflitto con la violenza: il primo serve per affrontare l’ostacolo, la seconda per distruggere chi ti ostacola.
- Il conflitto nasconde tante informazioni utili per la tua crescita personale e per la conoscenza profonda dell’altro.
- Nei conflitti emergono le sensazioni più vere: riconoscerle e capirle è utile per conoscere meglio se stessi e gli altri.
- Non cercare il colpevole: è il modo più istintivo di risolvere una questione, ma così lo scontro non si spegne, si autoalimenta. I conflitti sono problemi da gestire, non persone da cambiare.
- Usa la domanda maieutica: come insegnava il filosofo Socrate, è un approccio comunicativo che crea interesse reciproco e permette di cogliere i punti di vista altrui. Per esempio: cosa ti farebbe stare meglio? Come potrei comportarmi la prossima volta secondo te? Cosa pensi del mio problema?
- Non incaponirti sulle tue idee, ma sviluppa la capacità di rinuncia attiva. Evita i vittimismi.
- Fai proposte, non dare ordini.
- Fai una costante manutenzione delle tue relazioni, non solo affettive: un «tagliando» periodico può aiutare a prevenire rotture devastanti.
- Insegna ai bambini a litigare bene.
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