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Eviti gatti neri e tocchi ferro? Ecco perché si è superstiziosi

Gli esperti spiegano che obbedire a piccoli rituali scaramantici pensando che allontanino la malasorte sia un antidoto all’ansia e alle incertezze

Pochi lo ammettono, eppure gatti neri, specchi rotti e venerdì maledetti continuano a influenzarci la vita. Nel 2010 Eurobarometro, il servizio di sondaggi e analisi della Commissione europea, ha rilevato che 58 italiani su 100 ammettono di essere attratti da «idee irrazionali e superstizioni», di fronte al 40% della media europea.

Nella classifica dei Paesi più superstiziosi ci piazziamo al terzo posto, dietro la Lettonia (60%) e a un passo dalla Repubblica Ceca (59%). C’è di più: secondo il Rapporto annuale sulla magia e l’occultismo del 2014, 12 milioni di italiani, almeno una volta all’anno, investono tempo, soldi ed energie in pratiche magiche e numeri fortunati. Sono il 10% in più rispetto al 2010.

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L’irrazionale vince spesso sulla scienza

I tentativi della scienza di mettere a tacere le vecchie credenze con statistiche e prove non sono bastati, perché a guidare il bisogno di aggrapparsi a un cornetto portafortuna è qualcosa di irrazionale e, dunque, ingovernabile. «Rituali scaramantici, amuleti e talismani nascono dal desiderio di controllare gli eventi», conferma Silvano Fuso, chimico e ricercatore, esperto di paranormale e pseudoscienze, segretario della sezione ligure del Comitato italiano per il controllo delle affermazioni sulle pseudoscienze e autore di Superstizione, istruzioni per l’uso. «Molte delle cose che ci accadono sfuggono alla nostra volontà e alle nostre capacità previsionali, perciò ci illudiamo che determinati gesti o oggetti possano farci riappropriare del dominio su di esse. In pratica ci autoconvinciamo (o ci lasciamo convincere) che esista un rapporto di causa ed effetto tra il nostro comportamento e il decorso degli eventi».

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Le previsioni “azzeccate”

Basta che la coincidenza si verifichi una sola volta per avvalorare la tesi, mentre si dimenticano le centinaia di volte in cui non è successo niente. «Quello che avviene è una sorta di selezione mentale, per cui tutto ciò che conferma l’ipotesi superstiziosa viene registrato come veritiero e avvalora il comportamento protettivo, portando a ripeterlo in futuro, mentre ciò che lo smentisce viene rimosso», spiega Armando De Vincentiis, psicologo e psicoterapeuta, esperto in psicologia dei fenomeni paranormali. «Se, per esempio, un cartomante dà a una persona superstiziosa dieci informazioni e due di queste (per puro caso) si verificano, questa racconterà a tutti come siano state ben azzeccate le previsioni del santone. La mente, in modo involontario, ha “filtrato” solo quello che corrispondeva a ciò a cui voleva credere».

Il condizionamento operante

I primi studi furono realizzati dallo psicologo americano Burrhus Frederic Skinner nel 1948. Scoprì una forma di apprendimento chiamata condizionamento operante, nella quale un animale constata una relazione di causa ed effetto tra un suo comportamento e alcuni eventi gratificanti, come l’approvvigionamento di cibo. Skinner progettò delle gabbie per piccioni, munite di una leva, con all’interno un dispensatore di alimenti collegato a un meccanismo a tempo, che erogava il cibo indipendentemente dal fatto di azionare o meno la leva. Il piccione, credendo di azionare lui stesso il dispositivo, cominciò a ripetere il comportamento o il movimento che, in maniera casuale, stava facendo l’attimo prima dell’erogazione del cibo. Skinner ripeté l’esperimento con diversi piccioni e ciascuno elaborò una strategia: uno girava su se stesso, uno allungava il collo, un altro tirava su la testa. Gli animali avevano stabilito un rapporto di causa ed effetto erroneo: una superstizione.

Ma ricercatori dell’Università dell’Oklahoma, con un esperimento simile condotto sui ratti (che non si fecero ingannare dal meccanismo), aggiunsero che l’evoluzione poteva aver fornito il cervello dei mammiferi di una «protezione» dalla propensione di attribuire troppo facilmente relazioni causali ai fatti che accadevano. Merito dell’ippocampo, l’area cerebrale coinvolta nei processi di apprendimento e memoria. Perché allora le pratiche scacciaguai non perdono mordente? Scienziati dell’Università Konazawa di Tokyo ripeterono gli esperimenti su alcuni studenti, dimostrando che, nonostante la presunta protezione dell’ippocampo, l’uomo può sviluppare comportamenti superstiziosi come gli animali.

gatti neri

Strategia di sopravvivenza

Sul perché la superstizione sia un fenomeno duro a morire si sono interrogati in tanti. L’ipotesi dell’etologo Danilo Mainardi esposta nel libro L’animale irrazionale è che la fiducia nell’irrazionale sia uno strumento indispensabile di sopravvivenza per la specie umana. Conferma Fuso: «Se vedo un ramo spezzato nella foresta, penso subito a un predatore e mi metto in allerta. Se sbaglio, cioè se il ramo è stato rotto da un evento casuale, ci perdo poco. Se ci ho visto giusto, la mia prontezza può salvarmi la vita». Anche secondo la psicologa Paola Bressan dell’Università di Padova, autrice di due studi in materia, superstizione e scaramanzia sono frutto di comportamenti adattativi, tramandati geneticamente perché convenienti dal punto di vista evolutivo. Un bisogno ancestrale, dunque, che affonda le radici nella storia dell’umanità, ma anche nell’infanzia di ciascuno di noi. È quanto sostiene lo psicologo Bruce Hood, della Bristol University, secondo cui ognuno ha in sé un corredo di irrazionalità, in cui sentimenti e istinti giocano un ruolo di primo piano. E guai a farne a meno, perché questo patrimonio emozionale è alla base di tutte le decisioni che prendiamo «con il cuore», senza ragionare.

Gesti innocui se non diventano ossessivi

«Le superstizioni fanno parte della nostra natura: non devono essere demonizzate», prosegue Fuso. «Persino certe espressioni verbali come “In bocca al lupo!” o “Incrociamo le dita!”, ripetute anche dalle persone più razionali e diventate una forma di cortesia, hanno alla base convinzioni superstiziose». Se la credenza si limita a piccole e occasionali ritualità, niente di male. Un’occhiata all’oroscopo prima del colloquio di lavoro o la foglia d’alloro tra le pagine del libretto universitario sono antistress innocenti. Uno studio del 2010 pubblicato su Psychological Science ha mostrato come certi rituali consentivano ad alcuni individui di ottenere risultati migliori in determinate pratiche sportive, nell’esercizio della memoria e in altre abilità mentali. «I rituali scaramantici hanno lo stesso effetto di quelli ossessivi: placare l’ansia», spiega De Vincentiis. «Come chi controlla ripetutamente di aver chiuso il gas, il superstizioso compie continuamente gli stessi gesti per trasmettere al cervello una sensazione di calma e rassicurazione. Se restasse un comportamento circoscritto, non sarebbe dannoso. Il problema è che la mente tende a generalizzare per cui, se indosso una maglietta gialla prima di ogni prova importante e ho un riscontro positivo, tenderò a cercare altri rituali scaramantici da mettere in pratica in altre circostanze critiche della mia vita».

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I sogni premonitori? Autosuggestione

Afferma Fuso: «Se temo che qualcosa andrà storto, sono io stesso che faccio aumentare le probabilità che succeda. È il caso delle cosiddette profezie che si autoavverano e rafforzano certe nostre convinzioni errate». Se, per esempio, uno studente si veste sempre allo stesso modo per presentarsi agli esami e un giorno quell’abito non è disponibile, andrà talmente in ansia da compromettere l’esito della prova. Anche i cosiddetti sogni premonitori sono frutto di autosuggestione. Il fatto che un sogno possa «anticipare» ciò che avverrà è puramente casuale, confermano ricercatori del Laboratorio del sonno del Dipartimento di psicologia dell’Università La Sapienza di Roma. Il mondo dei sogni è come un’immensa biblioteca da cui il cervello, ogni notte, attinge per restare attivo. In una piccola percentuale di casi, viene pescato un avvenimento che trova una qualche corrispondenza con quello che sta per accadere. Così la persona si convince di aver avuto una visione profetica e trascura quel 99% di sogni che, non rivelando nulla di significativo, è finito nel dimenticatoio.

superstizione

Personalità fragili a rischio

Quando la superstizione porta a vedere rapporti di causa ed effetto dove non ci sono gli esiti possono essere anche drammatici. Capita specialmente ai caratteri fragili, quelli bisognosi di continue conferme, o a coloro che sono cresciuti in case piene di ferri di cavallo e peperoncini appesi. «Chi nasce in un sistema familiare in cui certe credenze vengono accettate e prese per vere, le assorbirà facilmente e, anche di fronte alle evidenze contrarie, farà più fatica a liberarsene», conferma Fuso. E quando l’insicurezza è più alta, come nei periodi di crisi, l’irrazionale trova terreno fertile nella mente delle persone più vulnerabili. Si legge nell’ultimo Rapporto annuale sulla magia e l’occultismo in Italia: «La mancanza di fiducia nelle istituzioni, comprese quelle religiose, sta dirottando l’interesse, in particolare dei giovani, alla ricerca di soluzioni facili. Tutto ciò che a prima vista può apparire consolatorio è in realtà illusorio e mette a rischio la vita privata delle persone, bombardate da promesse irrealizzabili e richieste di denaro e dati sensibili». Così la superstizione diventa patologia, che di solito si presenta sotto forma di ossessioni (pensieri di catastrofi imminenti) e di compulsioni (ripetizioni di atti ritenuti protettivi). La persona sprofonda in rituali propiziatori sempre più complessi, da cui diventa psicologicamente dipendente. Fuggendo dai suoi demoni, finisce per isolarsi, ammalarsi, perdere tutto. A volte si resta irretiti da maghi e cartomanti che, secondo le stime del Codacons, in Italia hanno un giro d’affari che sfiora gli 8 miliardi annui.

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Il percorso per liberarsene

«È importante abituarsi a controllare la fondatezza delle affermazioni, prima di accettarle in modo acritico», spiega Fuso. «Nessuno ha mai dimostrato che i gatti neri e gli specchi rotti portino sfortuna: continuare a crederci è poco sensato». Il Cicap propone il «Percorso a ostacoli». Si passa sotto una scala aperta, si rompe uno specchio, si apre un ombrello al chiuso e così via. Al termine i partecipanti ricevono un diploma. «È un approccio giusto», commenta De Vincentiis. «Bisogna abituarsi gradualmente a fare a meno di queste “ancore di salvezza”, facendo piccole esperienze correttive: si comincia con un esame senza la maglietta portafortuna, ma tenendo l’amuleto in tasca, poi si elimina anche quest’ultimo e così via. Pian piano ci si accorge di poter sopravvivere anche senza. Per spezzare il nesso causa-effetto può essere utile monitorare, magari mettendolo per iscritto, ciò che davvero si verifica e cosa no. La consapevolezza è la prima tappa, ma quando a livello emozionale si è creato un forte condizionamento non sempre basta. In questi casi può essere utile la psicoterapia». Educazione e istruzione hanno un peso notevole, sottolinea Fuso. «Gli impulsi possono essere messi a freno dalle conoscenze che possiamo acquisire. È fondamentale sviluppare nei giovani il senso critico, l’abitudine ad affrontare razionalmente i problemi. L’importante è evitare che certe false credenze condizionino negativamente la vita. La storia è zeppa di episodi agghiaccianti originati da credenze irrazionali: dalla caccia alle streghe all’inquisizione, dai deliri razziali nazisti alle guerre di religione».

 

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