Approvata una nuova terapia per il tumore ovarico platinoresistente. «Il tumore dell’ovaio colpisce circa 6.000 donne ogni anno in Italia. Per numero di casi è il decimo di quelli femminili. Di solito compare dopo i cinquant’anni, ma può interessare donne di tutte le età. Il 20-25% delle diagnosi ha cause ereditarie. Si tratta di uno dei tumori più aggressivi, perché non ha sintomi specifici e quindi, nella maggior parte dei casi, si arriva a una diagnosi tardiva; inoltre non esiste uno screening efficace, come invece accade per il tumore alla cervice uterina o al seno». La dottoressa Claudia Marchetti è esperta in Ginecologia oncologica presso il dipartimento di Scienze della salute della donna, del bambino e di sanità pubblica del Gemelli di Roma.
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Quali sono i sintomi?
«Come si diceva sono aspecifici, nel senso che possiamo avere dolori addominali diffusi, gonfiore addominale, alterazione della digestione. Si tratta dimanifestazioni che possono trovarsi anche in molte altre condizioni o malattie che colpiscono il tratto gastrointestinale, rendendo più difficile la diagnosi. Spesso arriviamo tardi, proprio per questa aspecificità dei sintomi. Talvolta un’ecografia fatta da un ecografista esperto, soprattutto se abituato/dedicato a queste patologie, riduce di moltissimo i tempi perché è in grado di fare una diagnosi più accurata. In questo modo può indirizzare la paziente verso un centro specializzato, che è un altro problema che abbiamo in Italia. È importante dirigersi in centri che abbiano in cura molte pazienti».
Hanno senso i test genetici?
«Bisogna agire sulla quota di donne con predisposizione genetica, sottoponendole a il test per la mutazione BRCA e BRCA1, per intenderci le mutazioni genetiche che hanno colpito Bianca Balti e Angelina Jolie che da questo punto di vista hanno fatto moltissimo per sensibilizzare l’opinione pubblica su questa condizione. Se in famiglia c’è questa mutazione e si è positive al test, si fa entrare la paziente in un programma di sorveglianza. Spesso ci si dirige verso un approccio chirurgico profilattico con la rimozione dell’utero e del seno a seconda dell’età e dal desiderio di maternità».
Chi sono le pazienti platinoresistenti?
«Si tratta di donne con un tumore ovarico già sottoposte a trattamenti sia chirurgico, sia a una prima linea di chemioterapia, dove questa chemioterapia ha smesso di rispondere in un tempo abbastanza veloce, che per convenzione si stabilisce a sei mesi dall’ultimo ciclo di platino. In questo caso si parla di platino resistenza. Un 20/25% sono platino resistenti, ma nel corso della vita molte pazienti diventano platino resistenti, perché col tempo si diventa meno sensibili ai trattamenti a base di platino».
Che benefici ha la nuova terapia per il tumore ovarico?
«Mirvetuximab soravtansine è il primo e unico anticorpo farmaco coniugato. È indicata per quelle pazienti che esprimono un determinato marcatore, il recettore alfa dei folati. Su queste donne l’efficacia è ottima: si riduce il carico di malattia e aumentano anche i tassi di sopravvivenza. Ha un profilo di tossicità diverso rispetto agli altri farmaci. Non è alopecizzante, con ricadute positive sull’aspetto psicologico, perché non fa cadere i capelli. Ci possono essere problemi oculari, che vengono però gestiti insieme a un oculista di riferimento».