Era il 1984 quando il sociologo Francesco Alberoni definiva l’amicizia un «amore morale», fatto di certezza e fiducia. A differenza dell’innamoramento, che può anche non essere ricambiato, l’amicizia si basa sempre sulla reciprocità del sentimento. Inoltre non è esclusivo (come l’amore di coppia). Ma reticolare, cioè aperto a diverse relazioni, ciascuna portatrice di emozioni uniche e speciali. L’amicizia è considerata dalla scienza un segreto di longevità e buona salute, perché la capacità di stringere (e mantenere nel tempo) rapporti sinceri, disinteressati e altruisti apporta tanti benefici psicofisici. La Giornata mondiale dell’amicizia, che si celebra ogni anno il 30 luglio, è l’occasione per ripercorrere i principali studi che lo hanno dimostrato.
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Protegge il cuore
Secondo Dean Ornish, docente di medicina clinica all’Università della California di San Francisco, fondatore dell’Istituto di ricerca di medicina preventiva, i rapporti con gli altri influiscono non solo sulla nostra qualità della vita, ma anche sulla nostra sopravvivenza. Gli studi evidenziano come le persone sole abbiano molte più probabilità di ammalarsi di una malattia cardiovascolare (infarto, ictus) di coloro che hanno un forte senso di relazione e di appartenenza a una comunità. Perciò i fautori della «psico-cardiologia», ossia la scienza che sostiene il legame tra emozioni e salute del cuore, pensano che gli affetti e le amicizie dovrebbero rientrare nel ricettario del medico.
Difese immunitarie più forti
Diverse ricerche dimostrano che gli adulti che durante il periodo dell’adolescenza hanno avuto un rapporto molto stretto con un amico, godono poi di una migliore salute. I più solitari, invece, hanno livelli di ansia più elevati. Uno di questi studi, condotto alla University of Virginia, ha dimostrato che gli adolescenti vissuti a contatto con gli altri diventano, da adulti, meno stressati e con difese immunitarie più forti. Secondo i ricercatori questo si deve al fatto che, nel corso dell’evoluzione umana, separarsi dal gruppo significava mettersi in pericolo di vita. Avere un amico, inoltre, spingerebbe a prendersi più cura di sé e a seguire uno stile di vita più sano.
La vita è più attiva
Le ricerche confermano che l’attività fisica eseguita in compagnia è quella che dà maggiori benefici. Come mai? Perché si fa con spensieratezza e con una minor percezione della fatica rispetto ai programmi di fitness seguiti singolarmente, a casa oppure in palestra. «Coltivare relazioni amicali innesca un rilascio di endorfine, come tutte le attività piacevoli», spiega Giuseppe Lavenia, psicologo e psicoterapeuta, presidente dell’Associazione nazionale dipendenze tecnologiche e cyberbullismo. «Quindi si è reciprocamente motivati ad agire. Ciò contribuisce a creare un’immagine positiva di sé, in quanto persona attiva e circondata di affetto. Tutto ciò agisce anche a livello chimico e ormonale sul livello di benessere».
Carburante per il cervello
«A livello cerebrale, il “capitale sociale”, cioè il numero di persone che fanno parte della propria rete di conoscenze, è un acceleratore del benessere. E anche un antidoto contro i grandi mali della mente. Come depressione e malattie degenerative», spiega Giuseppe Iannoccari, professore di scienze socio-pedagogiche all’Università Statale di Milano.
«Gli amici soddisfano diversi bisogni umani. A livello psicologico rafforzano il nostro valore come persone e trasmettono un senso di appartenenza. Il fattore determinante è il senso di essere rispettati e rafforzati nella propria identità. Scegliamo i migliori amici non perché sono formidabili, bensì perché fanno sentire noi così. Gli amici aiutano ad allentare le tensioni, poiché la compagnia sollecita la condivisione di temi frivoli e sprona l’ironia, elementi determinanti per il buonumore. Favoriscono l’analisi di un problema, in quanto il confronto con gli altri agisce sia a livello cognitivo sia emotivo, fornendo informazioni che aiutano a definire e comprendere il problema, suggerendo soluzioni possibili e alternative».
Un freno allo stress
Una ricerca dell’Università del Michigan l’ha confermato analizzando cosa succede al cervello femminile durante una serata tra amiche. I ricercatori hanno scoperto che sentirsi parte di un gruppo influisce positivamente sull’umore e la capacità di gestire ansia e stress. Succede grazie all’incremento diprogesterone, un ormone che incide positivamente sul desiderio di socializzazione e di accudimento. Questo è particolarmente vero nell’età adulta, quando si abbandona la spensieratezza della giovinezza per abbracciare nuove responsabilità professionali e familiari. Dai 25 ai 45 anni, proprio quando l’amicizia passa generalmente in secondo piano, questo sentimento diventa ancora più fondamentale, per creare un terreno di scambio, confronto, aiuto reciproco. Lo sostiene Robin Dunbar, professore del dipartimento di psicologia sperimentale all’Università di Oxford. È convinto che chi non smette di frequentare gli amici, ritagliandosi del tempo per sé, diventa un genitore più accudente e un lavoratore più produttivo.
Effetto antiage
Numerosi studi, soprattutto quelli condotti dalla neurologa Laura Fratiglioni, docente al Karolinska Institutet di Stoccolma dove dirige il Centro di ricerca sull’invecchiamento, indicano l’effetto protettivo delle reti amicali su depressione e demenze. Lo suggerisce anche uno studio, condotto presso la Northwestern University (Stati Uniti) sui cosiddetti super-ager. Sono gli anziani dalla mente giovane (che presentano cioè livelli di abilità cognitive paragonabili a quelli di un 50enne medio). È emerso che, rispetto alla media, gli ottantenni arzilli hanno un maggiore benessere psicologico e sociale se beneficiano di legami solidi e duraturi. «Consente di mantenere in moto la mente. E previene l’invecchiamento» sottolinea l’esperta. «Perché si è più abituati a parlare con gli altri, interagire e capire cosa provano».
La friendship therapy
Il calore umano di una persona amica non è utile solo come prevenzione, ma anche come cura. Gli specialisti della britannica Alzheimer’s Society hanno dimostrato che chi è affetto da demenza, anche se non è più in grado di riconoscere i volti dei propri cari e fatica perfino a ricordare le loro visite, è comunque in grado di ricordare la felicità provata stando in loro compagnia. Tutto grazie alla «memoria emotiva» che non viene cancellata dalla malattia, ma continua a incidere sul benessere psicologico dei malati. Un altro studio, dell’Università di Toronto ha scoperto che le persone depresse che possono contare sul supporto di amici intimi hanno una probabilità quattro volte superiore di pieno recupero rispetto a chi è socialmente isolato.