Il nome tristemente più famoso è quello di blue whale, il «gioco» dell’orrore che ha determinato la morte di 157 adolescenti. Ma l’elenco delle social challenge estreme, le sfide rischiose lanciate sul web, filmate e poi pubblicate sui social, è drammaticamente lungo. Dalle gare di resistenza in auto allo stringersi una cintura al collo, dai selfie sulle rotaie alle camminate bendati, le competizioni online mietono vittime (e, purtroppo, consensi) in particolare nella fascia d’età che va dai 9 ai 17 anni.
«Comportano un alto rischio di emulazione soprattutto tra i più piccoli, che spesso percepiscono la sfida come un gioco senza rendersi conto dei potenziali pericoli che possono nascondersi dietro ad alcune di queste pratiche», commenta Elisa Fazzi, presidente della Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza e direttore dell’unità operativa di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza all’ASST Spedali Civili e Università di Brescia.
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Sfide social estreme: i più a rischio sono gli adolescenti
«Il brivido del superamento di una sfida è prerogativa tipica adolescenziale, che non nasce certo con il web. I comportamenti potenzialmente rischiosi contraddistinguono da sempre una fase dello sviluppo in cui le funzioni inibitorie non sono ancora mature, rappresentando un mezzo per misurarsi con i propri limiti e dimostrare innanzitutto a se stessi e poi agli altri di essere coraggiosi».
Conferma la psicologa e psicoterapeuta Sava Perilli: «Un’area del cervello chiamata corteccia prefrontale permette di elaborare un giudizio e prendere una decisione valutando il rapporto costi/benefici; nell’adolescente questa area è ancora in fase di costruzione e il risultato è che prevale l’azione sulla riflessione. Inoltre, i compiti evolutivi di alcune fasi della crescita come quella adolescenziale comprendono una spinta verso l’individuazione, l’autonomia, l’affermazione di sé anche attraverso la trasgressione alle regole o il misurarsi con i propri limiti».
La questione si complica quando entrano in gioco i social. «Il web introduce nuove dinamiche capaci di rendere
ancora più pericolose le challenge», afferma Erika Loi, ricercatrice presso l’Università di Brescia. «Il pubblico si dilata diventando potenzialmente enorme e coloro che partecipano non mirano solo a mettersi alla prova, ma cercano una visibilità, e di riflesso un’accettazione, tramite “like” e commenti». I video delle sfide messi online diventano virali amplificando il rischio di emulazione. «Tutto in funzione di impressionare gli amici e sancire o rinforzare il senso di appartenenza a un gruppo», fa eco Perilli.
Aumentano egocentrismo e senso di onnipotenza
Per i ragazzi che si limitano a guardarle, le challenge sono solo un passatempo divertente. «Per chi le vive in prima persona, invece, le sfide diventano un mezzo per definire la propria identità», precisa Fazzi. «Attraverso l’interazione online mediata dalla sfida gli adolescenti esplorano la propria personalità, sperimentano interessi, verificano i propri limiti. La condivisione dell’esperienza con gli altri aumenta a dismisura l’egocentrismo tipico dell’età, rafforza il senso di onnipotenza, porta su di sé l’attenzione e permette di acquisire notorietà anche tra gli sconosciuti. La ripresa video non solo è una testimonianza della propria bravata, ma il mezzo attraverso cui si entra a far parte simbolicamente di una community mondiale di persone che hanno partecipato alla stessa sfida».
Questo fa crescere ancora di più l’adrenalina e l’appagamento che nasce dal superare i limiti. «Quando si sperimenta una gratificazione, di tipo fisico o psicologico, il sistema di ricompensa rilascia dopamina, un neurotrasmettitore molto potente che funge da rinforzo», spiega Perilli.
C’è un rilascio maggiore di dopamina, l’ormone del piacere
«Negli adolescenti il livello di base della dopamina è inferiore rispetto ad altre età, mentre il suo rilascio in relazione alle esperienze compiute è maggiore: questo spiega perché i ragazzi si sentono facilmente “annoiati” e cercano esperienze nuove, stimolanti, eccitanti, spesso connesse a comportamenti a rischio, capaci di dare sensazioni forti. Una situazione pericolosa o proibita risulta altamente desiderabile nell’adolescenza perché la gratificazione connessa viene percepita come più alta. È questa una delle ragioni per cui i ragazzi, specialmente prima dei 16 anni, adottano condotte insensate e pericolose».
«Ciò che li muove, peraltro, non è solo l’aspettativa di ricompensa e la ricerca del piacere, ma anche l’immediatezza e l’impulsività. L’approvazione del gruppo, inoltre, è quanto di più soddisfacente ci possa essere, per questo le decisioni più pericolose vengono assunte insieme ai coetanei. E il solo stare insieme al gruppo dei
pari, sia pur virtualmente grazie a una sfida condivisa, provoca scariche di dopamina paragonabili
a quelle procurate da piaceri più concreti come sesso, alcol e droga».
Sfide social estreme: i consigli per i genitori
Entrare nel meccanismo delle sfide social estreme è spesso difficile per gli adulti, che possono comunque essere di supporto nell’aiutare i figli a prendere le distanze dalle sfide più pericolose. Ecco alcuni consigli.
Stabilire regole nell’uso delle tecnologie digitali
«È opportuno ricordare che l’età minima per iscriversi a un social network è di 14 anni (a 13 anni è concesso con il consenso dei genitori)», sottolinea Fazzi. «Ecco perché gli adulti dovrebbero sempre precisare con chiarezza tempi di utilizzo degli strumenti digitali e stabilire regole sulla condivisione dei contenuti online».
Informarsi e dialogare
«Gli adulti dovrebbero cercare di conoscere il più possibile le dinamiche del web in modo da fare da filtro ai contenuti potenzialmente pericolosi», suggerisce Loi. Mantenere un dialogo aperto, limitando il più possibile giudizi e rimproveri rigidi, è una dinamica educativa di successo. Conferma Perilli: «Contrariamente a quanto si pensa, i ragazzi conoscono bene i pericoli a cui vanno incontro, ma accettano le sfide perché difficilmente sanno resistere a un comportamento che può portare a una forte gratificazione; proprio per questo i genitori hanno il
compito di sottolineare i rischi delle challenge suggerendo che esiste anche la possibilità di chiedere aiuto quando ci si sente in pericolo».
Sostenere senza invadere la privacy
«Gli adolescenti hanno bisogno del supporto dell’adulto per riuscire a riconoscere e gestire le proprie emozioni e sviluppare un senso di responsabilità anche nella realtà virtuale, dove è più facile che scatti un meccanismo di distacco», continua Fazzi. «Basilare, inoltre, insegnare ai figli a esercitare il pensiero critico in qualunque situazione, anche online, mantenendo sempre un atteggiamento di vicinanza, ma non di invadenza».
Incanalare in maniera diversa l’energia
«La componente della sfida che muove le challenge può essere indirizzata verso dimensioni positive come lo sport, che permettono di testare le proprie capacità e di sfidare i propri limiti senza incorrere in pericoli», suggerisce la neuropsichiatra.
Monitorare i segnali
«I campanelli d’allarme a cui i genitori devono prestare attenzione perché possono essere indice di un coinvolgimento in sfide social estreme sono i cambiamenti repentini e importanti nel rendimento scolastico, nella socializzazione, nel ritmo sonno/veglia, nell’umore con condizioni di maggiore irascibilità, introversione, sovraeccitazione, comportamenti compulsivi», precisa Perilli. Aggiunge Loi: «Attenzione anche ai segni sulla cute o sul collo, a frequenti mal di testa, ma anche a inappetenza, difficoltà di concentrazione, aggressività espressa sia verbalmente che fisicamente». Di fronte a segnali di disagio di qualunque tipo, rivolgersi a un professionista è sempre opportuno.
Testo a cura di Alberta Mascherpa