Il test per la diagnosi dello scompenso cardiaco con una semplice puntura al dito deve essere più disponibile, anche presso i medici di base e le farmacie. È questa la richiesta dell’Associazione Italiana Scompensati Cardiaci, in occasione del suo decimo anniversario.
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Test per la diagnosi dello scompenso cardiaco: quello standard solo in Pronto Soccorso
La diagnosi precoce dello scompenso cardiaco è fondamentale per il trattamento tempestivo. I test standard, a base di peptidi natriuretici NT-pro-BNP o BNP, sono disponibili in Pronto Soccorso per identificare la dispnea grave, cioè la mancanza di respiro, ma anche per diagnosticare pazienti con sintomi molto lievi. Il loro problema è che sono poco diffusi. All’inizio lo scompenso cardiaco si manifesta con stanchezza e debolezza, che spesso sono considerati problemi legati all’età.
Costi sociali e in termini di vite molto pesanti per lo scompenso
Lo scompenso è la principale causa di ricovero tra gli ultra 65enni, anche se la conoscenza che ne ha il grande pubblico è ancora scarsa. Alti i livelli di mortalità: i tassi a cinque anni dalla diagnosi arrivano al 50%. Molto spesso i pazienti devono ricorrere alle cure in ospedale
Non solo test per la diagnosi dello scompenso cardiaco, ma anche nuovi farmaci
La ricerca scientifica ha fatto grandi progressi nella scelta dei farmaci. «Oggi abbiamo la possibilità di trattare in maniera adeguata lo scompenso cardiaco, riducendo la mortalità e le ospedalizzazioni» sottolinea
«Tra i nuovi farmaci, ricordiamo l’associazione Sacubitril-Valsartan, oltre ai betabloccanti e ai diuretici. Sono disponibili gli SGLT2 inibitori, ipoglicemizzanti utilizzati per il controllo della glicemia che studi internazionali hanno dimostrato la loro efficacia nello scompenso cardiaco, riducendo la mortalità e l’ospedalizzazione».
Il progetto Case delle Comunità
Importante anche il progetto delle Case della Comunità. «In queste realtà – spiega il Professor Di Somma – ci saranno medici di medicina generale presenti h24, specialisti ambulatoriali e infermieri. Sul territorio ci sarà una struttura ogni 40.000 abitanti.
Lo scompenso cardiaco è per definizione una malattia cronica, quindi è necessario che le Case di comunità diventino un presidio territoriale per ottimizzarne la gestione. Il fine è quello di domiciliare le cure e realizzare una politica sanitaria rivolta al territorio.
Le Case di comunità non vedono il medico da solo, ma un team multidisciplinare e la tecnologia di screening, consentendo una risposta ai bisogni di salute. Nelle Case di comunità ci saranno anche le associazioni dei pazienti, per offrire un supporto non solo medico ma anche sociale».
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