Un anno di cura con farmaci di ultima generazione e gli attacchi di emicrania crollano di oltre il 90 per cento. È la rivoluzionaria promessa degli anticorpi monoclonali per curare l’emicrania. Il loro potenziale è conosciuto già da anni nel trattamento della patologia, ma di recente è stato ulteriormente avvalorato da uno studio italiano, a cui hanno partecipato 16 centri coordinati dall’IRCCS San Raffaele di Roma. Il lavoro è stato pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Neurology.
«Un anno di trattamento con anticorpi monoclonali anti-CGRP fa crollare la frequenza degli attacchi emicranici nella quasi totalità dei soggetti (91.3%)» ha spiegato Piero Barbanti, coordinatore del gruppo di ricerca e direttore dell’Unità per la Cura e la Ricerca su Cefalee e Dolore dell’IRCCS San Raffaele nonché responsabile del Registro Italiano dell’Emicrania.
Il San Raffaele di Roma è leader mondiale della sperimentazione di nuove molecole contro il mal di testa. I dati dello studio appena pubblicato dimostrano che le terapie anti-CGRP sconvolgeranno le cure dei prossimi anni e miglioreranno drasticamente la vita del paziente emicranico. Questo significherà anche una netta riduzione dei costi diretti e indiretti della patologia. Ad oggi valutati in circa 20 miliardi di euro.
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Anticorpi monoclonali: efficaci in quasi tutti i pazienti
Lo studio del San Raffaele è considerato importante per tre motivi. Primo: «Dimostra che gli anticorpi monoclonali anti-CGRP rappresentano un punto di non ritorno nella cura di una malattia devastante come l’emicrania, risultando efficaci praticamente in tutti. In secondo luogo, documenta che definire non responsivo chi non migliora dopo tre mesi di cura – come purtroppo attualmente prevedono le norme dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) – è un grave errore. Perché esclude dal beneficio il 30% dei pazienti».
Oggi, infatti, può proseguire nella cura con anticorpi monoclonali in regime di rimborsabilità solo chi non risponde al trattamento dopo tre mesi. Ma lo studio, specifica Barbanti, «dimostra che dopo circa 90 giorni risponde solo il 60,5% dei pazienti. Mentre attendendo sei mesi risponde il 75% e a dodici mesi il 91.3%. Ciò significa che gli attuali criteri Aifa escludono dal possibile beneficio il 30% dei sofferenti di emicrania in trattamento con monoclonali». Infine, il lavoro romano sottolinea come l’emicrania intrattabile o farmacoresistente sia una autentica rarità.
Curare l’emicrania: i criteri dell’Aifa
Per tutti questi motivi, «è urgente che l’Agenzia italiana del farmaco prenda atto di queste evidenze e riveda i criteri per la rimborsabilità degli anticorpi monoclonali. Oltre che quelli relativi alla prescrivibilità». Attualmente possono usufruire del rimborso degli anticorpi monoclonali da parte del Sistema sanitario solo i pazienti emicranici con almeno 8 giorni di emicrania al mese. E che abbiano fallito precedenti trattamenti con antidepressivi, antiepilettici e beta bloccanti. «Qui c’è il primo problema», sottolinea il neurologo. «Gli antiepilettici possono dare danni fetali (è un recente warning dell’Agenzia europea per i medicinali), ma la maggior parte dei pazienti emicranici sono donne in età riproduttiva».
Come sottolineano anche i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’emicrania è la terza patologia più frequente e la seconda più disabilitante. Predilige nettamente il sesso femminile, con un rapporto donna/uomo pari a 3:1. Le donne, inoltre, sperimentano episodi di emicrania più frequenti, di maggior intensità e durata e presentano un maggiore numero complessivo di comorbilità, con maggiori conseguenze negative sulla qualità della vita.
Come funzionano gli anticorpi monoclonali
Il trattamento con gli anticorpi monoclonali è considerato una rivoluzione anche perché in alternativa la malattia è trattata con farmaci presi in prestito da altre patologie. Per esempio con antinfiammatori non steroidei, antiepilettici, betabloccanti e antiaritmici. Anche con la tossina botulinica, che ha dato buoni risultati per l’emicrania cronica. Gli anticorpi monoclonali anti-CGRP (acronimo dall’inglese Calcitonin Gene Related Peptide) invece rappresentano la prima terapia specifica.
Queste molecole bloccano l’azione di un peptide che partecipa al processo a cascata che determina l’attacco di emicrania. Sono farmaci da assumere come profilassi e a cadenza mensile, con un’iniezione sottocutanea. La durata del trattamento sarà valutata dai medici in corso di cura. «La terapia con anticorpi monoclonali va interrotta per almeno un mese dopo dodici mesi di trattamento», spiega Barbanti. «Un anno di trattamento è un periodo troppo breve perché gli effetti positivi del trattamento si consolidino. Ci vorrebbero almeno 18-24 mesi consecutivi».