Si comincia accantonando gli oggetti più disparati. Scontrini sbiaditi, vecchi giornali, scatole e bottiglie vuote… Tutto ammucchiato e stipato in ogni angolo della casa. Col passare del tempo gli spazi domestici sono saturi e può capitare di trovare cartoni delle uova nel lavandino, quotidiani di dieci anni prima nella vasca da bagno, elettrodomestici rotti sul piano cottura della cucina.
Nei casi più gravi, nell’abitazione di un accumulatore seriale si arriva a trovare montagne di spazzatura e, a volte, persino colonie di animali: gatti, uccelli, roditori, lasciati vivere in condizioni pietose o già morti. L’ammasso di cose o bestie, per queste persone afflitte da un disturbo psichiatrico, è un porto sicuro, da cui non separarsi più. In psichiatria si chiama hoarding disorder, sindrome dell’accumulo, o disposofobia, letteralmente paura di buttare: si può curare, a patto di riconoscerlo in tempo e rivolgersi a uno specialista.
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Disposofobia: le caratteristiche della paura di buttare via
Chi ha visto qualche puntata del reality Sepolti in casa ha ben chiara la fotografia degli spazi, resi invivibili dall’accumulo di cose. Impossibile persino trovare una presa elettrica. «A determinare un quadro patologico concorre un insieme di variabili, ma occorre partire da una distinzione», premette Paolo Cavedini, psichiatra e dottore di ricerca, responsabile del day hospital psichiatrico di Villa San Benedetto Menni ad Albese con Cassano (Como).
Oltre al cosa e al quanto si raccoglie, è fondamentale il tempo dedicato a quest’attività, nonché le motivazioni. Il collezionista, anche amatoriale, si contraddistingue per un’accurata selezione degli oggetti, tenuti in ordine e curati, magari catalogati ed etichettati. Un’attività da cui ricava piacere e soddisfazione, ma che non lo porta mai a sacrificare altri aspetti della sua vita: la scuola, il lavoro, le relazioni restano spazi vitali preservati.
«L’accumulatore patologico, invece, non solo arraffa di tutto, riempiendo in modo causale e disorganizzato ogni angolo dell’appartamento, ma arriva a esaurire tutto il tempo a sua disposizione per soddisfare questo bisogno, rubandolo alle altre attività quotidiane. Ha un bisogno irresistibile di acquisire e conservare oggetti di qualsiasi tipo, senza alcun valore affettivo o economico, nel tentativo di colmare un vuoto interiore fatto di paura e angoscia. Per esempio comincia tenendo da parte riviste e quotidiani acquistati giorno per giorno, con l’intento di rileggerli, prima o poi. Ma non li consulterà mai, né si deciderà a gettarli».
Oltre all’accumulo, l’altra caratteristica è infatti l’impossibilità di scartare ed eliminare gli oggetti conservati, anche se non servono o sono già stati usati. Il disposofobico è terrorizzato al solo pensiero di doversene disfare, conserva gli oggetti perché sente di doverlo fare, indipendentemente dal prezzo o dall’utilità.
Non rientra tra i disturbi ossessivi-compulsivi
L’hoarding disorder, inserita nell’ultimo Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, il DSM-5 del 2013, è una malattia complessa, difficile da inquadrare. Gli scienziati ci provano da un ventennio, fin dalla scoperta dei primi casi. «Fino a qualche anno fa rientrava nei disturbi ossessivo-compulsivi», spiega lo psichiatra. «Oggi è considerata una patologia a se stante, rientrante in un gruppo più ampio di disturbi caratterizzati da rituali, cioè azioni ripetute e insistenti, poco controllate, come lo shopping patologico».
Alcuni studi, tra cui uno condotto dall’Istituto di psicologia e psicoterapia comportamentale e cognitiva di Firenze e pubblicato su Behavioural and Cognitive Psychotherapy, hanno mostrato come i sintomi possano essere presenti trasversalmente in diverse manifestazioni psichiatriche, neurodegenerative e in alcuni casi genetiche e ciò spiegherebbe la sua difficoltà di classificazione. È un problema che presenta caratteristiche specifiche pure a livello cerebrale, come si evince anche da un lavoro della Yale University School of Medicine, pubblicato su Archives of General Psychiatry, secondo cui i soggetti presentano differenze fondamentali, rispetto a pazienti ossessivo-compulsivi e adulti normali, in zone specifiche del cervello.
Forse alla base della disposofobia ci sono anomalie cerebrali
«Usando tecniche di neuro-imaging si è visto che all’origine della malattia potrebbero esserci anomalie nella corteccia frontale o orbito-frontale e in zone più profonde, i gangli della base», spiega Cavedini. «I circuiti che connettono queste aree cerebrali risultano compromessi in tutti quei comportamenti ripetitivi che, benché percepiti come irrazionali e illogici, ci si sente costretti a mettere in atto per paura che possa succedere qualcosa di disastroso (sono le cosiddette compulsioni).
Con effetto boomerang per cui, dopo un sollievo iniziale per aver soddisfatto il proprio bisogno nell’immediato, a lungo andare ci si sente sempre più schiavi di quel comportamento, che viene messo in atto in modo continuo e irrefrenabile».
I rischi: isolamento sociale e altre malattie
S’instaura così un circolo vizioso e alla fine, non riuscendo più a liberare spazi fisici, ma anche mentali, della propria esistenza, gli accumulatori sono costretti a rinunciare alle proprie relazioni. Non conducono più una vita normale, non vanno più al lavoro, non escono più di casa e non permettono agli altri di entrare, per l’imbarazzo del disordine e della sporcizia.
Secondo una ricerca americana condotta su quasi 900 hoarders e apparsa su Psychiatry Research, il caos domestico può impattare pesantemente sulla vita lavorativa, con assenze, ritardi e licenziamenti. Il 75% dei partecipanti allo studio dichiara difficoltà nel trovare i materiali necessari alle proprie mansioni, sei su dieci aggiungono che lo spazio di lavoro è invaso dal disordine. Il 22% non ha completato la dichiarazione dei redditi, più della metà non riesce a gestire pagamenti e scadenze. A livello fisico, aumenta il rischio di obesità (78% del campione) e altri problemi come malattie respiratorie, ipertensione, diabete, sindrome da fatica cronica.
La difficoltà nel chiedere aiuto può compromettere non solo la salute della persona coinvolta, ma anche la sua sicurezza: il caos può aumentare il rischio d’incendio o di infestazione di animali. Poi ci sono le responsabilità penali in caso di detenzione irregolare di animali. In quest’ultimo caso (si chiama animal hoarding), secondo l’Hoarding of Animals Research Consortium, il gruppo di ricerca che se ne occupa da anni, l’accaparratore non ha consapevolezza della condizione di degrado in cui vivono le bestiole, neanche quando sono malate o ferite, a volte non riesce a staccarsene neppure dopo il decesso arrivando a detenere i cadaveri in congelatori o persino in cassetti o armadi.
Disposofobia: la diagnosi arriva spesso tardi
Quanti accumulatori seriali si nascondono nelle case? Difficile stimarlo, primo perché il disturbo è spesso associato ad altre patologie dello spettro ossessivo-compulsivo o affini, inoltre la diagnosi è spesso tardiva. C’è tuttora una percentuale di casi sommersi molto elevata, che fatica a emergere per lo stigma sociale ancora persistente e la normalizzazione del problema, spesso relegato (anche da famigliari e amici) a semplice «passione da collezionista» o a una personalità nostalgica o prudente.
«L’intervallo tra l’esordio dei sintomi e il riconoscimento da parte dello specialista è spesso di molti anni», racconta lo psichiatra. «Non è raro arrivare a una diagnosi dopo i 40 anni di età, quando ormai gli ambienti della casa sono impraticabili e il malato mangia e dorme per terra, perché letti e tavoli sono sommersi da montagne di oggetti. Altri casi, magari meno eclatanti, faticano a emergere, con sofferenze indicibili per chi ne soffre». Studi specifici sull’accumulo patologico non ci sono ma, in generale, i disturbi ossessivo-compulsivi riguardano il 3-4% della popolazione generale, senza distinzioni di genere. Esordiscono in genere nell’adolescenza o in giovane età, spesso in modo subdolo, per poi diventare più evidenti in età adulta, intorno ai 30 anni.
Negli Stati Uniti si stimano 5000 persone con disposofobia
Uno studio dell’Università della Florida (Usa) comparso sul Journal of Psychiatric Research, afferma che molto di frequente questo disturbo si associa a depressione, ma anche, in misura minore, ad ansia e disturbo di panico. Negli Stati Uniti l’American Psychiatric Association indica che il 2-5% della popolazione adulta è affetta da disturbo di accumulo, ovvero pressoché cinque milioni di individui e, poiché circa il 68% della popolazione americana possiede animali da compagnia, oltre tre milioni di persone potrebbero potenzialmente essere accumulatori seriali di cani, gatti e pappagalli.
Solo negli Stati Uniti ogni anno vengono identificati da duemila a tremila casi. Gli studi compiuti dal 1997 al 2006 tracciano un identikit degli accaparratori: cresciuti in famiglie difficili, in cui gli animali rappresentavano l’unico elemento stabile, spesso riportano esperienze traumatiche vissute nell’infanzia, come trasferimenti continui, divorzi, isolamenti prolungati. Per questo manifestano spesso tratti come diffidenza e paura dell’abbandono e l’unica relazione rassicurante è con gli animali assiepati in casa.
Come si cura la disposofobia
La diagnosi è clinica: non si eseguono esami, ma basta tracciare la storia del paziente e analizzare i sintomi. «L’approccio psicoterapico che ha dato finora i risultati migliori nelle forme ossessivo-compulsive è quello di orientamento cognitivo-comportamentale, efficace perché agisce direttamente sui comportamenti», afferma Cavedini.
«Nei casi più seri la psicoterapia è abbinata a un protocollo farmacologico. I farmaci più usati sono gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina, della famiglia degli antidepressivi, e gli antipsicotici, che agiscono su particolari neurotrasmettitori aumentando la consapevolezza sui comportamenti ripetitivi e il senso di realtà. I tempi di intervento sono generalmente medio-lunghi, non meno di 12 mesi, a seconda della situazione di partenza del malato, del suo livello di consapevolezza del problema e della sua volontà di collaborare, ma anche dell’eventuale presenza di altre condizioni patologiche sottese o concomitanti».
Spesso il percorso coinvolge anche parenti e familiari per renderli consapevoli che tali comportamenti non sono stranezze o difetti del carattere, ma sintomi di una malattia che, in assenza di cure, non può che peggiorare. «Il ruolo dell’entourage famigliare è fondamentale», conclude l’esperto.
«A volte gli altri sono conniventi col paziente, cioè lo assecondano inconsapevolmente peggiorando la sua condizione, o sono ostili e conflittuali, lo criticano e lo giudicano, portandolo a chiudersi ancora di più. Altre volte prendono decisioni impulsive, ripuliscono casa buttando via tutto, ma azioni di questo tipo, se non concordate con lo specialista e inserite in un percorso psicoterapico strutturato, possono creare più danni che benefici».
L’autotest per definire chi è a rischio
Il test Hoarding Rating Scale-Interview può fornire un indizio di difficoltà psicologiche legate a un accumulo insolito di oggetti. Consiste nell’attribuire un punteggio a ogni singola domanda: se, sommando i punteggi, il risultato ottenuto è superiore a 14, è consigliabile rivolgersi a uno specialista per un accertamento diagnostico. Ricordiamo che la diagnosi definitiva può essere effettuata solo dallo psichiatra.
Le cinque domande:
- A causa del disordine o della quantità di oggetti che accumuli, quanto è difficile per te utilizzare le stanze della tua casa?
- Quanto è difficile per te buttare (o riciclare, vendere, dare via) cose di non particolare valore di cui altre persone si sbarazzerebbero con facilità?
- Abitualmente quanto hai problemi legati al collezionare oggetti gratuiti o al comprare più cose di quelle di cui hai bisogno o che poi usare o che puoi permetterti?
- Quanto disagio emotivo vivi a causa del disordine, della difficoltà di buttare le cose o dei problemi legati all’acquisto o altra forma di accaparramento di oggetti?
- In che misura senti la tua vita danneggiata (nelle abitudini quotidiane, nel lavoro/scuola, negli impegni sociali e famigliari, nella situazione economica) a causa del disordine, della difficoltà di buttare le cose o dei problemi legati all’acquisto o altra forma di accaparramento di oggetti?
I punteggi:
0 = Non ho nessun problema
2 = Pochi problemi: occasionalmente (meno di una volta a settimana) acquisisco/accumulo cose che non mi servono
4 = Regolarmente (1-2 volte a settimana) acquisisco cose non necessarie
6 = Frequentemente (diverse volte a settimana) acquisisco cose non necessarie
8 = Enormi difficoltà: molto spesso (tutti i giorni) acquisisco/accumulo cose non necessarie o acquisisco un grande numero di cose
Il test è tratto da: D. F. Tolin, R. O. Frost, R.O., G. Steketee, A brief interview for assessing compulsive hoarding: The Hoarding Rating Scale-Interview, Psychiatry Research (2010).
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