Alla ricerca del selfie perfetto, ci poniamo tutti la stessa domanda: come devo sorridere? Mi si apprezza di più se inclino leggermente la bocca, con fare timido e intrigante, oppure è meglio sfoderare un maxi sorriso a 32 denti? La formula del successo l’hanno trovata gli esperti dell’Università del Minnesota, negli Stati Uniti, con uno studio pubblicato sulla rivista Plos One che potrà essere d’aiuto anche per i pazienti che devono fare i conti con una paralisi al volto, per esempio dopo un ictus.
Le parole non servono
La faccia è uno dei principali mezzi di comunicazione non verbale che abbiamo a nostra disposizione: bastano piccoli movimenti delle sopracciglia, delle labbra e delle guance per cambiare completamente il messaggio che trasmettiamo al nostro interlocutore. Per studiare questi effetti sulle relazioni interpersonali si possono utilizzare dei programmi informatici che permettono di ricostruire i volti in 3D sullo schermo del computer, modificando in maniera sistematica ogni singolo aspetto dell’espressione facciale per poi vedere come vengono interpretati dalle persone.
Facce in 3D
I ricercatori del Minnesota hanno usato questo sistema per creare una serie di espressioni facciali differenti ottenute modificando l’angolo della bocca, l’ampiezza e la simmetria del sorriso nonché il numero di denti mostrati. Le facce animate in 3D sono state mostrate a 800 volontari, che le hanno valutate in base a diversi parametri come la genuinità, l’efficacia, la piacevolezza e le emozioni percepite.
La formula del successo
Dalle risposte raccolte emerge una inaspettata verità: il maxi sorriso a 32 denti non riscuote grande successo. Per conquistare consensi bisogna essere più moderati: il sorriso che più di tutti viene giudicato genuino, piacevole ed efficace è quello che mostra i denti ma non troppi, con le labbra inclinate in maniera dolce e simmetrica, con i due lati della bocca che si devono muovere in sincronia, con uno sfasamento non superiore ai 125 millisecondi.
Un aiuto dopo l’ictus
Probabilmente sarete già corsi davanti allo specchio per fare le prove in vista del prossimo scatto, ma sappiate che questa ricerca ha implicazioni che vanno ben oltre la selfie-mania. Dimostra infatti che l’animazione della faccia in 3D può essere un utile strumento per studiare le conseguenze psicologiche e sociali della paralisi del volto, causata ad esempio da un ictus. Le informazioni raccolte potranno dare preziose indicazioni per la riabilitazione e anche per la chirurgia facciale.
Elisa Buson
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