Benessere

Trasfusioni di sangue giovane: combattono davvero l’invecchiamento?

L'imprenditore Bryan Jhonson, noto per le pratiche estreme alle quali si sottopone con l'obiettivo di rimanere giovane, si è fatto recentemente iniettare il plasma del figlio diciassettenne

Lo scorso aprile, in una clinica in Texas vicino a Dallas, è avvenuto uno scambio di plasma intergenerazionale tra il miliardario americano Bryan Johnson, suo figlio Talmage e suo padre Richard. Al figlio di 17 anni è stato prelevato un litro di sangue. Il suo plasma è stato poi trasfuso in Bryan, 45 anni, che a sua volta lo ha donato al padre di 70 anni. Si tratta delle trasfusioni di sangue giovane, chiamate anche “young blood transfusion“. Ma queste pratiche hanno effettivamente dei benefici anti età? Ne abbiamo parlato con Damiano Galimberti, specialista in scienze dell’alimentazione, fondatore e presidente dell’Associazione medici italiani anti-aging (Amia).

Cosa sono le trasfusioni di sangue anti-age?

Un numero crescente di start-up negli USA ha iniziato a praticare trasfusioni di sangue giovane, promettendo di curare o prevenire gli effetti di varie condizioni, che vanno dall’invecchiamento e la perdita di memoria a malattie gravi come il morbo di Parkinson. L’idea ha preso piede dopo alcuni esperimenti fatti sui topi, in cui il plasma dei topi giovani si è mostrato efficace nel “ringiovanire” quelli più anziani. Non ci sono però attualmente evidenze che dimostrino un funzionamento analogo sull’essere umano, basate su studi clinici comprovati.

Gruppo San Donato

La Food and Drug Administration (FDA) ha mostrato una forte preoccupazione, in merito alla promozione e all’uso del plasma per scopi diversi da quelli riconosciuti o indicati dall’agenzia, in cui i benefici del trattamento vengono valutati per superare i rischi. C’è inoltre il timore che questo potrebbe scoraggiare i pazienti affetti da malattie gravi dal ricevere le cure di cui hanno veramente bisogno.

È possibile combattere l’invecchiamento con le trasfusioni di sangue giovane?

«Il punto è che stiamo parlando semplicemente di teorie. Quando si trasfonde il sangue, si trasfonde anche tutta una serie di sostanze. Nell’effettuare una trasfusione ci deve essere la sicurezza che non ci siano delle problematiche di altra natura che vengono veicolate, come ad esempio virus che possono poi coinvolgere il soggetto ricevente. Se il sangue è compatibile e non ci sono controindicazioni di rigetto, teoricamente si può fare. Però sicuramente non è una di quelle pratiche invasive che possono essere consigliate in questo tipo di circostanze. Non ha benefici dimostrabili seri nel breve, nel lungo o nel medio termine», spiega Damiano Galimberti.

L’utilizzo delle terapie infusive

«Il problema di molti integratori è il passaggio di due barriere, quella gastrica e quella ematoencefalica. Quindi è chiaro che la terapia legata alle trasfusioni di plasma può, in via teorica dato che non esistono studi scientifici pubblicati al riguardo, risultare sempre più efficace rispetto a una terapia orale. Nel plasma ci possono essere molecole in grado di passare più facilmente dalla barriera ematoencefalica e quindi, raggiungere il nostro sistema nervoso. Ma, in questo momento storico, ci sono più svantaggi che vantaggi. Mancano ricerche di consolidamento relative a questo tipo di metodica».

«Per le terapie infusive, in cui i principi attivi sono veicolati direttamente nel sangue, il discorso è differente. Ci sono studi scientifici consolidati al riguardo e non c’è alcun rischio. Ad esempio, possono essere trasfusi gli Omega 3. Il Karolinska Institutet è uno dei centri più all’avanguardia in questo settore e ha effettuato vari studi nel merito. Queste terapie possono essere fatte tranquillamente anche in Italia. La differenza sta nella sicurezza, che le rende più vantaggiose della trasfusione di plasma, fintanto che non se ne valutino i rischi e i benefici reali».

Verso l’obiettivo di una longevità in salute

«La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità promuove la longevità in salute. Qualsiasi pratica che persegua questo obiettivo però deve essere consona, supportata dai dati e dall’esperienza clinica. Affinché questo accada, ci deve essere una ripetibilità e una riproducibilità del dato», continua Galimberti.

Che cosa significa reverse aging?

«Il concetto di ringiovanimento oggi è molto gettonato. Non vuol dire tornare indietro negli anni, ma avere quello che viene chiamato “successful aging”, cioè invecchiamento di successo. Riuscire quindi a mantenere delle prestazioni psicofisiche analoghe a quelle delle fasce d’età immediatamente antecedenti. Mantenere la propria capacità di prestazione e allontanare la curva di declino. Rallentare l’invecchiamento dei muscoli, del cervello, dell’organismo, in modo tale da mantenersi più efficienti nel tempo. Mantenersi sani è fondamentale, in quanto la malattia accelera l’invecchiamento, anche quando si supera la fase acuta. Poi, oltre allo stile di vita c’è sempre una base genetica. Se conosco i pregi e difetti del mio organismo, sono in grado di confrontarli con dei dati clinici che mi dicano qual è il mio livello di età biologica e avere un piano d’azione».

Invecchiare bene è una questione di equilibrio

«Si pensa che fare un’azione spot possa risolvere tutti i problemi del nostro organismo. Ma la realtà è molto più complicata e richiede di trovare una mediazione tra quelle che sono le necessità della vita di oggi, di calarsi in ritmi a volte frenetici e l’equilibrio necessario al nostro organismo per mantenersi in vita e soprattutto in salute. Controllare la filiera alimentare di quello che arriva sulla tavola, cercare di mangiare alimenti sani, meno ricchi di conservanti e additivi, perché apportano un effettivo vantaggio all’organismo».

«L’attività fisica attività motoria rimane poi la miglior tecnica di “reverse”. I nostri centenari vivono soprattutto in regioni collinari e dovevano fare necessariamente movimento in bicicletta e a piedi. Inoltre, fare 10-15 minuti di meditazione o di ginnastica respiratoria che vanno a creare un’azione antistress, liberando tutta una serie di molecole utili. Infine, affidarsi a professionisti con un’esperienza consolidata, che consenta di avere un approccio di tipo olistico al paziente», conclude l’esperto.

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Aurora Pianigiani

Collabora con OK Salute e Benessere e si occupa di comunicazione in ambito medico-scientifico e ambientale. Laureata in Giurisprudenza all’Università degli Studi di Firenze, si è formata nel settore dei media digitali e del giornalismo. Ha conseguito il Master in Comunicazione della Scienza e della Salute presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e contestualmente ha scritto articoli per testate giornalistiche che svolgono attività di fact-checking.
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