Il polpastrello bionico realizzato in Italia lo scorso anno ha già iniziato a dare una mano (è proprio il caso di dirlo) alla scienza. Grazie a questo dispositivo è stato infatti scoperto un meccanismo fondamentale per l’elaborazione degli stimoli tattili nel cervello, che potrà aiutare a studiare le malattie neurodegenerative e a sviluppare protesi e robot più sensibili. Il risultato, pubblicato sulla rivista Scientific Reports, è nato dalla collaborazione tra Italia e Svezia, con l’Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e l’Università di Lund.
Ci vuole tatto
Accarezzare, schiaffeggiare, afferrare, schiacciare: forse non ce ne accorgiamo, ma tutte queste azioni quotidiane sarebbero praticamente impossibili senza il tatto, uno dei sensi in apparenza più semplici ma in realtà tra i più complessi del nostro corpo. Alla sua base c’è una comunicazione perfetta e continua fra la pelle e il cervello, che a volte può subire gravi interferenze o può essere addirittura interrotta a causa di una malattia neurodegenerativa o dell’amputazione di un arto.
Il polpastrello bionico
Intercettare e decifrare questo dialogo è molto complicato, ma un grosso aiuto arriva ora dal dito bionico, che con il suo polpastrello hi-tech riesce a ricreare il senso del tatto in maniera artificiale. Collegato alle terminazioni nervose della pelle dei topi di laboratorio, ha permesso di analizzare come la corteccia cerebrale risponde agli stimoli in arrivo dalla periferia per rappresentare nel nostro cervello l’interazione con il mondo esterno.
La ricchezza del cervello
Parte dell’efficacia di questa rappresentazione deriva dalla sorprendente ricchezza del profilo temporale della risposta dei singoli neuroni, e parte deriva dall’eterogeneità della popolazione neuronale: la collaborazione tra i neuroni, specializzati nel trasmettere determinati stimoli, permette la corretta e completa rappresentazione del mondo esterno grazie all’elaborazione che avviene nel cervello. «Alcuni neuroni sono, da soli, molto efficaci nel decodificare gli stimoli che abbiamo testato, ma nessun neurone è perfetto», spiegano Alberto Mazzoni della Scuola Superiore Sant’Anna e il collega svedese Anton Spanne. «La loro varietà è tale che le imperfezioni dell’uno sono compensate dall’altro. La combinazione dell’attività dei neuroni consente quindi di identificare gli stimoli in maniera perfetta».
Monitorare la neurodegenerazione
«L’elaborazione del segnale sensoriale dipende dal corretto funzionamento dei circuiti neurali – aggiunge lo svedese Henrik Jorntell – pertanto il nostro metodo di valutazione dell’abilità dei neuroni potrebbe essere utilizzato in futuro per decodificare gli stimoli e stimare in modo quantitativo la gravità di un danno neurologico o di una malattia neurodegenerativa».
Protesi più sensibili
«Nel futuro prossimo, anche grazie ai risultati dei progetti in collaborazione con Inail, questa conoscenza scientifica sarà incorporata in una nuova generazione di arti robotici sensibili in grado di trasmettere agli amputati i dettagli dell’esperienza sensoriale del tatto», sottolinea Calogero Oddo, della Scuola Superiore Sant’Anna . «Con i progetti di ricerca sostenuti dalla Regione Toscana, i nostri risultati porteranno a miglioramenti anche nei sistemi robotici dotati di capacità sensoriali tattili simili a quelle umane, per svolgere compiti complessi, ad esempio in robot chirurgici, robot di soccorso e robot di servizio e industriali».
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