La mamma è sempre la mamma. Alle volte però questo legame è talmente forte da impedire al figlio di spiccare il volo e di crearsi una propria famiglia. E non stiamo parlando di 30enni, ma di uomini che hanno superato di gran lunga gli “anta”. Quali sono le motivazioni? Lo abbiamo chiesto a Daniela Del Frate, psicologa clinica presso il presidio ospedaliero di Vigevano (puoi chiederle un consulto). Ha creato il servizio di psicooncologia presso l’Istituto clinico Beato Matteo di Vigevano ed è consulente tecnico psicologico per le situazioni di divorzio e affidamento minori del tribunale di Vigevano.
Una volta si chiamavano “mammoni”. Oggi come si definisco gli over 40, e anche 50, che vivono ancora con la madre?
La situazione è più comune di quanto si pensi. Il quadro classico è di un uomo già maturo, indipendente economicamente, spesso autorevole, affermato professionalmente e in salute, che vive sotto lo stesso tetto con la madre, sola, di solito vedova o divorziata da tempo. Nella maggior parte dei casi il figlio è unico, o gli altri figli hanno comunque lasciato la casa famigliare da anni. In altri casi invece il figlio è il classico “single di ritorno” che è uscito di casa in giovane età (tra i 25 e i 30 anni) e a seguito di una separazione è tornato a vivere con la madre.
Tra madre e figlio si instaura un rapporto di sostituzione del padre e il figlio rappresenta una figura di aiuto e di sostegno, molto presente, costante: “Mia madre ha bisogno di me e io non posso esimermi dall’esserci”. Sicuramente questi uomini sono degli eterni Peter Pan, con una forma borderline di difficoltà a crescere e a staccarsi dalla figura materna. È una situazione simbiotica e poco sana dal punto di vista psicologico.
La madre è l’elemento preponderante?
Sicuramente. Tutto il rapporto ruota attorno a lei. L’incapacità da parte del figlio di rompere questo legame è anche responsabilità della madre che non gli consente il distacco. Il rapporto simbiotico tra madre e figlio è normale fino a una certa età, ma poi viene superato, in questo caso invece è come se ci fosse una patologia dell’Edipo che va avanti a oltranza.
C’è una incapacità del genitore a lasciare andare che spesso si associa alla convinzione, da parte della madre, che il figlio non sia in grado di gestirsi e di stare da solo. Ma comunque c’è una forma di complicità che riguarda entrambe le figure, come sempre avviene nei rapporti a due.
E se subentra un’altra donna che cosa succede?
La madre in questi casi è sempre idealizzata, dunque inevitabilmente la nuova figura femminile, la fidanzata del figlio per intenderci, sarà messa a confronto con quella materna. Inoltre la donna giovane vuole condivisione, pretende dal rapporto una parità di ruoli e di responsabilità. L’ideale sarebbe evitare queste situazioni, tenersi al di fuori e non farsi coinvolgere. Alla lunga le donne finiscono con l’allontanarsi e il rapporto è destinato a finire.
Come mai queste situazioni sono sempre più frequenti?
Un tempo le famiglie erano numerose e non si poteva focalizzare tutta l’attenzione su un figlio solo. La caratteristica del nostro tempo, invece, è la famiglia mono parentale: ci sono molte separazioni, le coppie spesso hanno un figlio unico. Inoltre, uno dei fattori che causa questa situazione è anche la difficoltà a trovare lavoro, che determina un ritorno alla famiglia di origine.
Credo però che le prossime generazioni non vivranno più questa problematica perché tra i giovani d’oggi c’è la tendenza a trasferirsi all’estero, per lavoro o studio, redendosi indipendenti da subito. Un po’ come avviene all’estero, dove i figli lasciano casa per andare a studiare al College e vivere nei campus universitari. L’Italia, da questo punto di vista, è ancora un paese indietro.
Quale tipo di terapia si applica con questo genere di problematica?
Innanzi tutto bisogna avere consapevolezza e ammettere di avere un problema. La terapia si focalizza principalmente sulla persona giovane e questa affronta un percorso psicoterapeutico per capire quali siano le reali motivazioni per cui si è creata questa situazione. Il desiderio, la volontà di volerne uscire, in un certo senso di “liberarsi”, di crescere e di rendersi indipendenti, sono fondamentali per determinare il successo della terapia.
Eliana Canova
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