Dopo il ricovero per scompenso cardiaco, un paziente su tre non torna al lavoro. Lo rivela uno studio dell’Università di Copenhagen presentato a Firenze in occasione del doppio appuntamento con il congresso Heart Failure 2016 della Società europea di cardiologia (ESC) e il terzo Congresso mondiale sullo scompenso cardiaco acuto.
La ricerca è stata condotta in Danimarca confrontando cartelle cliniche e situazioni lavorative di quasi 12.000 pazienti tra i 18 e i 60 anni al primo ricovero per scompenso cardiaco.
Dall’analisi dei dati è emerso che, ad un anno dal ricovero, il 68% dei pazienti è tornato al lavoro, il 25% lo ha abbandonato, mentre il 7% è deceduto.
«Tra i pazienti ancora vivi dopo un anno, il 37% non torna al lavoro: questo numero, davvero sostanzioso, conferma che lo scompenso cardiaco riduce in maniera importante la capacità di mantenere una vita normale e autonoma», spiega il coordinatore dello studio, Rasmus Roerth.
I pazienti più giovani (con meno di 30 anni) hanno una probabilità di tornare al lavoro che è tre volte superiore a quella dei pazienti tra i 51 e i 60 anni. «Questo dato non ci ha sorpresi – aggiunge il medico danese – perché i pazienti più giovani hanno meno malattie e più determinazione nel rimanere al lavoro».
I malati con un livello di istruzione più alto hanno invece una probabilità di ritornare la lavoro che è due volte più alta: «questo dato potrebbe essere spiegato dal fatto che le persone più qualificate svolgono lavori meno impegnativi dal punto di vista fisico, e spesso hanno più possibilità di richiedere un orario flessibile», sottolinea Roerth.
Gli uomini riprendono a lavorare più facilmente delle donne: «ciò non significa che recuperino meglio da un punto di vista fisico – precisa l’esperto – ma semplicemente che si sentono più obbligati a tornare al lavoro per motivi economici e culturali».
I pazienti che invece faticano di più dal punto di vista fisico sono quelli che hanno subìto un ricovero più lungo di una settimana o che hanno avuto una storia di infarto, insufficienza renale cronica, BPCO, diabete o tumore.
Proprio per evitare questi fattori complicanti e garantire una migliore qualità di vita dei pazienti, gli esperti europei hanno presentato sempre a Firenze delle nuove linee guida per la prevenzione, la diagnosi e la cura dello scompenso cardiaco, acuto e cronico.
«Lo scompenso cardiaco sta diventando sempre più una malattia prevenibile e curabile: grazie a queste nuove linee guida, diamo ai pazienti le migliori possibilità di avere una prognosi favorevole», afferma il coordinatore della task force, Poitr Ponikowski.
Grande attenzione è stata posta su come evitare o ritardare la comparsa dello scompenso. Tra i pilastri della prevenzione elencati nelle nuove raccomandazioni, ci sono: il trattamento dell’ipertensione, l’uso delle statine nei pazienti a rischio coronarico e la somministrazione di empagliflozin in caso di diabete di tipo 2.
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