Conoscenza clinica insufficiente, diseguaglianza regionale nell’assistenza, accesso difficile ai farmaci e tempi diagnostici lunghi. Sono questi i principali problemi pratici individuati da Nicola Spinealli Casacchia, presidente della Federazione Italiana Malattie Rare UNIAMO, in occasione della presentazione del secondo rapporto sulla condizione delle persone affette da patologie rare in Italia. I dati ci dicono che nel nostro Paese il numero di malati rari è stimato tra i 450 mila e i 670 mila, ma potrebbe aumentare se si pensa a tutte quelle persone con una patologia rara non diagnosticata o ancora senza un nome. Con l’avanzare della scienza e dei progressi della ricerca genetica potrebbe aumentare anche il numero di malattie rare conosciute in tutto il mondo, ad oggi circa 8.000.
«Il ritardo medio della diagnosi – spiega Casacchia – va dai 3 ai 5 anni, con casi eclatanti di diagnosi solo nell’età adulta. Le malattie rare sono state dichiarate una priorità di sanità pubblica, ma a causa della loro continua evoluzione, la scarsa informazione e la complessità assistenziale rappresentano una sfida, che il nostro Paese non ha sempre affrontato in modo vincente, soprattutto a livello regionale: ci vorrebbe maggiore equilibrio tra gli aspetti clinici e gli aspetti sociali».
Quali sono le novità a livello assistenziale in Italia?
«Come richiesto dall’Europa, dal 2014 ci siamo dotati di un Piano Nazionale Malattie Rare, in cui sono contenute tutte le misure che riguardano l’assistenza dei pazienti. Purtroppo, ciò che manca è una copertura finanziaria sufficiente. Per questo motivo, una delle priorità è trovare delle risorse per permettere un’evoluzione del Piano. In ritardo rispetto ad altri Paesi europei, manca ancora in Italia un Comitato Nazionale rappresentativo di tutti i portatori di interesse nel settore delle malattie rare».
Quali sarebbero i compiti del Comitato Nazionale?
«Un Comitato potrebbe compensare la mancanza di sinergia tra l’apparato di assistenza regionale e nazionale. Oggi il livello regionale di tutela della salute è degenerato quasi in 21 sistemi regionali sanitari diversi, di cui molti con enormi difficoltà economiche e non in grado di applicare l’assistenza. Mettere intorno a un tavolo tutti i portatori di interesse, compresi i pazienti, e costituire un Comitato Nazionale permetterebbe di mediare e trovare le misure più giuste per tutelare la salute su tutto il territorio».
Screening neonatale per 40 malattie metaboliche rare: in cosa consiste il test e perché fino a poco tempo fa non era applicato in modo omogeneo?
«Ognuna delle malattie metaboliche rare alla nascita può presentare particolari caratteristiche oppure passare inosservata. Se non vengono diagnosticate immediatamente, queste patologie rare, inizialmente silenti, potrebbero essere scatenate da uno stile di vita non corretto perché chi è malato, con conseguenze anche letali. Lo screening neonatale si svolge prelevando una piccola goccia di sangue dal tallone del nascituro nelle prime 72 ore di vita e permette di diagnosticare con buona precisione fino a 52 malattie metaboliche rare. La diagnosi precoce permette di curare o comunque di tenere controllate le patologie. Fino a pochi giorni fa erano solo 3 le malattie con screening neonatale obbligatorio (ipotiroidismo congenito, fenilchetonuria e fibrosi cistica) e per tutte le altre, senza obbligo e i cui costi non erano a carico del Sistema sanitario nazionale, lo screenig era del tutto estemporaneo, legato alla sensibilità e alla possiblità economica delle singole Regioni. Rendendo obbligatorio il test per altre 40 malattie rare e inserendolo nei Livelli essenziali di assistenza (Lea), la nuova legge fornisce una base sicura per l’applicazione dello screening in modo omogeneo in tutte le Regioni».
Quali sono le Regioni italiane in condizioni più critiche per quanto riguarda l’assistenza?
«Le Regioni più in difficoltà sono quelle in Piano di rientro, cioè quelle sotto osservazione perché con difficoltà finanziarie. Questa situazione si scontra con la necessità di dare un’assistenza capillare in tutta Italia. Quando non c’è un problema di soldi, però, c’è un problema organizzativo: non sono poche le realtà in cui c’è mancanza di personale oppure i servizi sono sparsi in luoghi diversi e distanti tra loro. Una persona affetta da malattia rara può avere difficoltà motorie e non sempre ha a disposizione un accompagnatore. In questi casi diventa complicato per loro accedere ai servizi di cura e assistenza».
A cosa si deve l’aumento dei farmaci orfani, ovvero i medicinali dedicati alla cura delle malattie rare?
«Prima di tutto perché lo sviluppo di questi farmaci richiede quasi 10 anni di lavoro. Secondo, in questi anni è aumentata la disponibilità di molecole innovative per sviluppare medicinali e allo stesso tempo c’è stata forte pressione da parte delle associazioni per sperimentare queste molecole. Terzo fattore, le agenzie regolatorie, come per esempio l’Aifa, hanno cercato di velocizzare l’approvazione dei medicinali con sperimentazioni e analisi più rapide, pur mantendendo gli stessi criteri di attenzione sull’efficacia e sulla sicurezza dei farmaci».
Giulia Masoero Regis
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