Più episodi di otiti, sinusiti e polmoniti in un anno, ascessi ricorrenti sulla pelle, candida orale persistente o un bambino con una crescita ritardata. Sono questi (ma ce ne sono alche altri) i principali campanelli d’allarme delle immunodeficienze primitive, malattie rare e poco diagnosticate che oggi nel mondo colpiscono 6 milioni di persone. «Queste patologie sono delle condizioni in cui il paziente, per motivi ancora sconosciuti, sviluppa una difetto della risposta immunologica e per questo motivo contrae una serie di infezioni» spiega Carlo Agostini, immunologo dell’Azienda Ospedaliero Universitaria di Padova in occasione della Settimana Mondiale delle Immunodeficienze Primitive promossa in Italia dal 22 al 29 aprile da AIP Onlus.
«Noi ci difendiamo dalle infezioni grazie al sistema immunitario – continua l’esperto – ma purtroppo nel paziente con immunodeficienza primitiva questa funzione non è adeguata e quindi nascono infezioni ricorrenti. Se si manifestano in età pediatrica la diagnosi è in genere rapida, nel caso invece di manifestazioni nell’adulto la diagnosi è spesso ritardata di 10-20 anni, determinando una grave compromissione della vita del paziente».
Quali sono i campanelli d’allarme?
«I campanelli d’allarme sono tutte quelle situazioni in cui non c’è una spiegazione a dei sintomi manifestati (molto spesso infettivi) presentati dal paziente. Cosa vuol dire? Se un bambino o un adulto presenta 4 o più episodi di otite, 2-3 polmoniti o più di 2 sinusiti gravi in un anno, non è normale. Se per far guarire il paziente un medico è costretto a usare farmaci per via endovenosa perché l’organismo non risponde alla terapia orale antibiotica, significa che il sistema immunitario del paziente non funziona bene ed è un altro importante campanello d’allarme. Poi bisogna fare anche attenzione allo sviluppo: se un bambino ha un ritardo nella crescita o rimane sottopeso, potrebbe esserci un’infezione intestinale che non permette il suo sviluppo nel modo corretto. Ma non solo. Anche la presenza di ascessi ricorrenti della pelle o degli organi interni e la candida orale o cutanea persistente sono dei campanelli d’allarme. Ognuna di queste manifestazioni fisiche dipende da che tipo di deficit immunologico presenta il paziente e infine c’è da considerare che le immunodeficienze hanno familiarità».
Secondo i dati, dal 70 al 90% degli individui adulti affetti da immunodeficienza primitiva non riceve una diagnosi corretta in tempi accettabili. Come mai?
«Perché l’adulto può mascherare l’immunodeficienza sotto altre malattie che non sono usualmente correlate all’immunodeficienza come asma, bronchite cronica ostruttiva o altre infezioni. Quando sono diagnosticate tardivamente, le immunodeficienze possono instaurare danni anatomici gravi o irreversibili, in grado di compromettere i risultati anche delle più avanzate terapie».
Le immunodeficienze primitive sono circa 300. Quali sono le più diffuse?
«Grazie alle innovazioni nelle analisi dei pazienti, solo negli ultimi tre anni ne sono state scoperte 75. La forma più frequente di immunodeficienza nell’adulto è l’immunodeficienza comune variabile, ovvero la mancanza di immunoglobuline (anticorpi, ndr). Di solito si manifesta intorno ai 20 anni, ma alcuni pazienti possono scoprire di averla anche a 40 anni. La malattia può esordire con asma, infezioni o bronchite cronica ostruttiva. Quest’ultima, in particolare, è una patologia che solitamente colpisce soggetti che fumano: se si manifesta su persone che non hanno mai acceso una sigaretta costituisce un evidente campanello d’allarme e dovrebbe far nascere l’ipotesi di immunodeficienza comune variabile. Spesso, però, ciò non avviene, i pazienti non sono sottoposti ai giusti esami e la diagnosi viene ritardata».
Qual è la nuova frontiera terapeutica contro le immunodeficienze primitive?
«Parlando sempre della forma più frequente, cioè l’immunodeficienza comune variabile (che in Italia e in Europa colpisce in prevalenza gli adulti) le terapie si sono evolute. Fino a 10 anni fa si davano delle immunoglobuline, cioè ciò che mancava al paziente, per via endovenosa in regime di ricovero giornaliero una volta al mese. Era una terapia sostitutiva. Da qualche anno, dal 2007 circa, abbiamo le terapie sottocutanee, cioè immunoglobuline che vengono date al paziente attraverso un sistema di pompe (come quelle usate dalle persone diabetiche per l’insulina) che permettono la somministrazione a casa. Il paziente viene educato dagli operatori sanitari ad auto-somministrarsi la dose, solitamente sull’addome, per poi permettergli di farlo in modo autonomo da casa ogni settimana. Da un anno, invece, è disponibile un nuovo tipo di immunoglobulina sottocutanea che si dice “facilitata”. Cosa significa? Che al suo interno contiene degli enzimi che ne facilitano la diffusione nel sottocute, così vi entrerà più velocemente e in quantità maggiore. Questa sua caratteristica ne permette l’uso sempre a domicilio, ma ogni tre-quattro settimane. Con queste innovazioni stiamo dando sempre più libertà ai pazienti, che non sono più legati con il cordone ombelicale all’ospedale per ogni iniezione. Ciò permette a molti di loro, soprattutto se lavoratori che viaggiano anche all’estero, di essere più indipendenti. La loro qualità della vita è decisamente migliorata».
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